Di loro conosciamo i nomi: Giuseppe Civati, Gianni Cuperlo, Gianni Pittella, Matteo Renzi, in ordine rigorosamente alfabetico. Conosciamo anche titolo e numero di pagine delle mozioni o piattaforme congressuali che dir si voglia: «Dalla delusione alla speranza», le 69 pagine di Civati; «Il futuro che vale», le 24 di Pittella; «Per la rivoluzione della dignità», così Cuperlo in 22 pagine; «Cambiare verso», il Renzi-pensiero in 26 pagine a margini larghi, però, che valgono la metà di quelle dei concorrenti.
Sono i candidati alle primarie del Pd di domenica 8 dicembre. Sappiamo che hanno idee diverse, che esprimono un concetto di partito e di futuro assai diversi. Quel che non sappiamo, però, è cosa vogliono fare della sanità pubblica con annessi e connessi che il popolo atteso alle urne democratiche, però, vorrebbe conoscere nel dettaglio. A parte i richiami della foresta (dignità, equità ecc ecc), . Sia chiaro: qualcuno è più esplicito, come Civati e in qualche modo Cuperlo. Pittella dice e non dice. Renzi, non dice affatto. E forse sarebbe bene farlo. Anche se, è chiaro, pnon stiamo parlando di elezioni politiche e dunque di programmi che dovrebbero essere più dettagliati. Ma pur sempre di elezioni staimo parlando. E i temi scottanti non vanno aggirati: chi ti vota per segretario del Pd, vuole sapere come la pensi. Anche del futuro della sanità pubblia. Please.
Per errore o per volontà?
Certo, nessuno può attendersi un sanità-pensiero sviluppato nei dettagli. Ma qualche riflessione non semplicemente di circostanza su un capitolo così forte e delicato insieme, non guasterebbe affatto. Tanto più mentre si annunciano più o meno grandi cambiamenti, e il vento continua a soffiare in direzioni ogni giorno talmente diverse che vaticinare il destino della sanità pubblica è davvero un’impresa. Ma proprio per questo sarebbe stato (ma si è ancora in tempo) opportuno, anzi doveroso e necessario, spendersi interamente in materia. A meno che il tema è talmente scomodo che è meglio glissare. La tempesta della crisi impone di non fare promesse?
Ma allora, se così è, perché (giustamente) dedicare pagine e pagine all’istruzione, al lavoro, alla ricerca, alle pensioni all’equità fiscale e via elencando i diritti universali intoccabili? La sanità, le cure della gente, valgono poi meno? E allora: dimenticanza o dolo? O ignoranza?
Questo lo scopriremo solo vivendo. Intanto vale elencare, candidato per candidato segretario del Pd, le tracce che ci “offrono” nei loro documenti elettorali sul destino che vorrebbero per il welfare delle cure.
Giuseppe Civati. È il più prolifico, anche se sufficientemente di sinistra qualunquistica, si potrebbe dire, viste le sfide che incombono sui modi per tenere incollata la sostenibilità possibile del sistema, e dunque la necessità di formulare proposte articolate. Il passaggio pressoché unico è alla pagina 62. Eccolo: «Di fronte alla proposta di rendere universalistico il nostro stato sociale – scrive – molti sostengono che i costi sarebbero insostenibili». E invece non è così afferma subito: «In realtà l’Italia spende un quarto del pil per il welfare esattamente come la Finlandia, uno dei Paesi più virtuosi al mondo per quanto concerne la protezione sociale dei suoi cittadini. Dove sta allora la differenza?», si (e ci) domanda Civati. Il gap, spiega, sta nel fatto che l’italietta spende il 14% del pil in pensioni, la Finlandia il 9%; noi spendiamo l’1,4% per le politiche familiari, loro, sempre i finlandesi, più del 2%; e anche per le politiche attive sul mercato del lavoro facciamo acqua.
Tutto qui. Punto. Ma nell’incipit, sia chiaro, il principio è d’obbligo: al centro dell’azione va rimessa la lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Palla al centro e via.
Gianni Cuperlo. Certo, Cuperlo rivendica la «rivoluzione della dignità». Che, senza tirarla troppo, può ben comprendere i diritti sociali e sanitari. E tuttavia si sofferma anche lui nella lotta alla povertà, sull’equità nello sviluppo: «Punti fermi», rivendica. Chissà come. E sulla sanità? Nulla di specifico, salvo dire che la spesa pubblica va riqualificata e non ridotta e riallocata. Colpendo sprechi e inefficienze, mettendo alla porta le «interferenze» (così le chiama) della politica nella pubblica amministrazione. Già: ma quale idea di sanità pubblica?
Gianni Pittella. Pittella dice subito che vuole un partito democratico, solidale, europeo. Grandi concetti. Che ovviamente non possono non essere declinati altrimenti che in una lotta a tutto campo «contro la disuguaglianza». Pittella per la verità si sbilancia, però: perché servono, dice, «politiche in favore dei più poveri e investimenti pubblici significativi nelle capacità delle persone su ricerca, istruzione, salute e abilità lavorative» (sic a pag. 9).
Eccola infine, dunque, la parola dimenticata: salute. Peccato che alla pagina seguente declina ancora e ci lascia nella confusione. Serve un welfare inniovativo, afferma, per salvaguardare le persone. Un welfare che adegui «l’assistenza socale e sanitaria a un ciclo definito di risorse, mantenendola come caratteristica del nostro sistema comune e rivedendo il modo di interagire tra pubblico e imprese sociali nei servizi di prossimità». Il modello sociale europeo – aggiunge ancora, lui che in Europa ci sta da deputato di vertice – «va preservato ma anche innovato». Già, ma come? Ci dica, please, perché non basta affermare che «a chi propone di smantellare la conquista del welfare state», va «contrapposta una risposta riformista». A volte – speso – le parole sono pietre. O boomerang che tornano indietro sulla testa di chi lo ha lanciato.
Matteo Renzi. Infine il favoritissimo, stando ai bookmakers, Matteo Renzi. Che nella sua capacità comunicativa se la è sbrigata in meno della metà delle pagine dei rivali. «La sintesi, la sintesi», pretende il sindaco, ricordando i programmi pesanti cento chili del centrosinistra che perdeva, anche vincendo di poco. Vabbè: certo che a volte la troppa sintesi fa perdere di vista i contenuti, quando i contenuti ci sono. E Renzi sulla nostra salute preferisce non dilungarsi. Salvo dire che «l’espansione dei diritti alla persona non può essere un’operazione a somma zero, in cui qualcuno vince e qualcuno perde: dev’essere al contrario un modo per far crescere l’intero Paese. L’altra faccia della medaglia dello sviluppo economico – aggiunge Renzi – è infatti rappresentato da quello civile». E per questo «l’Italia deve costruire una cultura dell’inclusione». Ecco: l’inclusione. La parola santa. E poi? E come?
ps: chissà perché la parola sanità, più o meno per tutti e quattro i candidati segretari Pd, non ricorre mai.