Le banche popolari italiane si schierano contro il Decreto legge del Governo che punta a trasformarle in Spa. Un provvedimento che le banche definiscono «gravido di conseguenze negative», «ingiustificato» e «ingiustificabile». E che rischia di «trasferire la proprietà di una parte rilevante del sistema bancario alle grandi banche internazionali».
Rimanere «popolari»
Ecco perchè la linea comune della categoria, comunicata ieri con una nota di Assopopolari al termine di un vertice milanese tra i banchieri, è quella di far cadere il provvedimento dell’Esecutivo e permettere agli istituti di mantenere il loro attuale status giuridico. Promettono insomma di dare battaglia in parlamento, dove il provvedimento approderà entro due mesi per la sua conversione. Le banche «non lasceranno nulla di intentato perchè il Dl venga meno» e perchè «l’ordinamento giuridico continui a consentire tutte le banche popolari di mantenere la propria identità».
Non è un caso del resto che dalla Lega a Fi e Ncd, così come nelle file del Pd, pur con diverse 7 Nel diritto societario, consiste nella regola per la quale ogni socio è titolare di un singolo voto indipendentemente dal numero delle azioni possedute o rappresentate. Si tratta di una caratteristica tipica delle società cooperative e delle banche popolari: in tali tipi di società, infatti, ogni socio ha diritto a un voto in Assemblea, indipendentemente dal valore della propria quota di capitale sociale, mentre nelle società per azioni i voti sono attribuiti in proporzione al numero di azioni possedute da ogni socio. sfumature alcuni parlamentari abbiano mostrato da subito la loro contrarietà all’iniziativa del Governo Renzi. L’ipotesi più realistica, ora, è che la lobby trasversale legata al settore dia battaglia in Aula in sede di conversione del decreto, così da introdurre modifiche anche significative. Negli ultimi giorni si era fatta consistente l’ipotesi di un emendamento che fissasse un limite al possesso azionario o del diritto di voto (3-5%), per impedire l’eventuale strapotere dei fondi di investimento. Altri osservatori hanno ipotizzato anche il ricorso legale per invalidare il decreto. D’altra parte non è da escludere che il Governo scelga alla fine di apporre la fiducia sul provvedimento, blindando così le sue decisioni ed esponendosi al rischio del voto.
Sì al consolidamento
Nello stesso tempo le banche hanno voluto però anche lanciare un messaggio di apertura al Governo. E hanno riconosciuto la necessità di un consolidamento del comparto, che rimane il secondo più frammentato d’Europa dopo la Germania. Quindi, anche se il Dl cadesse, promettono di continuare «con maggiore urgenza e determinazione» a perseguire un’ulteriore «evoluzione del proprio ordinamento » e a «proseguire un processo di concentrazione che hanno dimostrato di saper praticare in passato», si legge nella nota firmata dall’Associazione guidata dal presidente Ettore Caselli. Un po’ come dire che dal processo di fusione e aggregazione tanto atteso dal mercato, in fin dei conti, anche gli istituti stessi sanno di non poter scappare.
Ma se il processo di M&A oggi segna il passo, è il ragionamento dei banchieri, non è perché è «ostacolato dalla forma giuridica delle banche popolari». Bensì, è l’accusa, è per l’«avvento di regole e prassi di sorveglianza europee particolarmente avverse».
L’impegno di Assopopolari è dunque ora verso una profonda revisione dell’impianto del Decreto. Tuttavia, «qualora i nostri sforzi non andassero a buon fine», le banche si impegnano a proseguire nella loro «missione di banca territoriale». E promettono di non far mancare «il coraggio, la fantasia e la determinazione per proseguire la propria storia, anche in un contesto normativo pregiudizialmente e irragionevolmente avverso».
Il Sole 24 Ore – 23 gennaio 2015