Complessivamente il numero delle pensioni versate al 1° gennaio 2024 ai dipendenti pubblici sale a quota 3,1 milioni, ma, con l’esaurirsi dell’effetto di Quota 100 e di Quota 102, i nuovi trattamenti liquidati nel solo 2023 calano del 9,8%
Cresce dello 0,9% il numero delle pensioni complessivamente versate ai dipendenti pubblici, giunte al 1° gennaio 2024 a quota 3,1 milioni per un importo complessivo di 90,1 miliardi: l’8,2% in più rispetto a 12 mesi prima. Ma nel solo 2023 cala di ben il 9,8%, nel confronto con il 2022, il flusso dei nuovi assegni pensionistici liquidati, anche se l’importo medio sale del 4,1%: da 2.001,87 a 2.083,44 euro. A evidenziare, oltre all’impennata della spesa, la frenata nell’ultimo anno nella corsa al pensionamento nel pubblico impiego è l’ultimo monitoraggio dell’Osservatorio Inps in cui si afferma che «tale diminuzione può essere imputata ad uno svuotamento delle generazioni pensionabili dovuta all’utilizzo, negli anni immediatamente precedenti, di anticipi pensionistici quali Quota 100 e 102 e al sempre maggiore ricorso da parte degli iscritti alle ex Casse Tesoro alle pensioni in cumulo».
In forma anticipata il 58,9% delle pensioni erogate ai dipendenti pubblici
Dall’ultima rilevazione dell’Istituto guidato da Gabriele Fava emerge che le pensioni della Gestione dipendenti pubblici in totale erogate al primo gennaio 2024 sono 3.137.572, lo 0,9% in più rispetto all’anno precedente (3.107.983), per un importo complessivo annuo di 90.129 milioni di euro: l’8,2% sul 2023, in cui l’importo risultava di 83.318 milioni. Il 58,9% dei trattamenti complessivamente erogati ai dipendenti pubblici è assorbito da assegni di anzianità o anticipati, con importo annuo pari a 58,9 miliardi. Le pensioni di vecchiaia rappresentano il 14,6% delle prestazioni pensionistiche versate, le pensioni di inabilità il 6,3% e il restante 20,2% è costituito dalle pensioni erogate ai superstiti di attivo e di pensionato.
Il 41% dei trattamenti al Nord
L’Inps fa sapere che il 59,7% del totale dei trattamenti destinati a lavoratori pubblici è erogato a donne, contro il 40,3% erogato a uomini. «In tutte le categorie di pensione, eccetto la categoria delle pensioni di inabilità, si rileva una maggior presenza di pensionate sui pensionati, con differenziazione massima nelle pensioni ai superstiti in cui le donne rappresentano il 16,6% del totale delle pensioni e gli uomini il 3,6%», evidenzia l’Istituto. Che fa anche notare come il maggior numero delle prestazioni sia concentrato nelle regioni settentrionali con il 41% del totale nazionale, seguito dal 36,5% degli assegni al Sud, isole comprese. Al Centro il valore minimo, con il 22,3%. Le regioni con il maggior numero di pensioni pubbliche sono la Lombardia e il Lazio, rispettivamente, con l’11,9% e l’11,2% del totale, seguite dalla Campania (9,4%) e dalla Sicilia (8,4%). Le regioni con meno trattamenti versati ai dipendenti pubblici sono la Valle d’Aosta (0,3%), il Molise (0,7%) e la Basilicata (1,1%).
Nel 2023 le nuove pensioni pubbliche liquidate calano del 9,8%
Il monitoraggio dell’Osservatorio Inps mette in evidenza che, nel confronto con il 2022, le nuove pensioni “pubbliche” liquidate nel 2023 calano del 9,8%, passando da 151.208 a 136.418. L’importo medio mensile, che nel 2022 era pari a 2.001,87 euro, è risultato lo scorso anno di 2.083,44 euro, con un incremento percentuale del 4,1%. Anche per quanto riguarda i nuovi trattamenti erogati nel 2023 la categoria delle pensioni di anzianità/anticipate risulta la più numerosa, con il 44,2% del totale (e un importo complessivo annuo pari a 1.957,2 milioni). Che però rappresenta una percentuale sensibilmente più bassa di quella registrata per le nuove prestazioni anticipate del 2022 (50,5%). Le nuove pensioni ai superstiti sono il 30,4% del totale e quelle di vecchiaia il 22,1%. L’Inps afferma che anche in questo caso emerge una prevalenza del genere femminile in tutte le categorie ad eccezione delle inabilità. Inoltre, le nuove pensioni ai superstiti erogate alle donne rappresentano il 22,7% del totale mentre quelle liquidate agli uomini soltanto il 7,6%.ù
Il Sole 24 Ore