Era giusto che il grande fisico Stephen Hawking fosse al centro dello stadio durante la cerimonia di apertura delle Paralimpiadi a Londra. Quel signore di settant’anni suonati se ne stava immobile e contorto nella sua poltrona, tra ballerini senza gambe che pure danzavano e tennisti in carrozzina sospesi in cielo, attorniato da una folla di atleti, impossibili per lo sport-spettacolo, che invece sfilavano orgogliosi e felici.
Hawking è il loro simbolo. Anzi, il nostro. Di noi che facciamo finta di essere sani, come cantava Giorgio Gaber. È la dimostrazione che un disabile può fornire un contributo straordinariamente positivo alla cultura e alla comunità, cancellando ogni tipo di difficoltà.
E sì che lui le ha provate tutte: colpito da atrofia muscolare progressiva, è paralizzato. Non muove un dito. Ha perso la voce da trent´anni. Nello stesso periodo, però, ha insegnato fisica all´università di Cambridge dalla cattedra che fu di Isaac Newton. Per comunicare si serve di un computer che usa grazie a una microtelecamera collegata al battito delle sue ciglia.
Hawking, che in Star Trek s´è divertito a giocare a poker con Newton ed Einstein, non ha mai perso la fiducia in se stesso. Forse perché è nato lo stesso giorno 300 anni dopo Galileo, al quale pure la vita riservò molte amarezze. Non gli hanno ancora conferito il Nobel e chissà mai se arriverà. Per aver scoperto i buchi neri dell´universo probabilmente lo meriterebbe. Ma una medaglia alle olimpiadi della vita l´ha già vinta, come l´hanno vinta tutti i diversamente abili e le loro famiglie, che affrontano una quotidianità complicata, cercando oltretutto di superare le barriere che costruiamo loro attorno.
ANTONIO DI LORENZO – Il Giornale di Vicenza – 1 settembre 2012