Le altre indicazioni Forma scritta necessaria solo per contratto e patto di prova ma non per il piano formativo individuale dell’apprendista. Sale a 36 mesi, dagli attuali 12 mesi, l’acausalità nei contratti a termine, come richiedono da tempo le imprese. Novità anche sull’apprendistato: si cancella l’obbligo per le aziende di stabilizzare almeno il 30% di apprendisti per poterne assumere di nuovi.
Inoltre, per il contratto di apprendistato di primo livello (quello cioè utile per conseguire una qualifica o un diploma professionale) si prevede la possibilità di riconoscere al lavoratore una retribuzione più contenuta «che tenga conto delle ore di lavoro effettivamente prestate» e «delle ore di formazione nella misura del 35% del relativo monte ore complessivo».
Il consiglio dei ministri, ieri, ha approvato un decreto legge per semplificare la flessibilità in entrata, con l’obiettivo di creare nuova occupazione, rimuovendo alcune rigidità introdotte dalla legge Fornero. In particolare, si interviene sui contratti a termine (che rappresentano oltre il 60% delle nuove attivazioni). Oggi, dopo le modifiche apportate dalla legge 92 e dal decreto Giovannini, è prevista l’acausalità (cioè la possibilità per il datore di lavoro di non specificare le motivazioni tecniche-produttive-organizzative che lo portano ad apporre un termine al rapporto) per il solo primo contratto della durata massima di 12 mesi. Con il decreto legge approvato ieri questo termine si porta a 36 mesi, facendo così coincidere l’assenza di causale con la durata massima (tre anni, appunto) del contratto a termine prevista dal Dlgs 368 del 2001. La causale è «il motivo essenziale del contenzioso – ha spiegato, al termine del Cdm, il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti – per questa ragione è stata tolta». Via anche la pausa di dieci giorni tra un contratto a termine e l’altro, ha aggiunto Poletti, che è una di quelle «norme torture che fa diventare matti e non serve a nessuno». In questo modo, si potrà prorogare anche più volte il contratto a tempo determinato entro il limite dei tre anni, purché però sussistano ragioni oggettive e si faccia riferimento alla stessa attività lavorativa. Sempre sul contratto a termine si introduce, poi, un limite massimo al suo utilizzo (che pende in capo a ciascun datore di lavoro). Non si potrà eccedere il 20% dell’organico complessivo.
Il decreto legge del governo interviene anche sul contratto di apprendistato, che dopo le misure introdotte dalla legge Fornero è stato irrigidito, rendendolo di fatto poco utilizzato dalle imprese (quando invece l’intenzione del legislatore era renderlo il canale di accesso privilegiato dei giovani nel mondo dell’occupazione). Intanto, si chiarisce che il ricorso alla forma scritta vale solo per il contratto e il patto di prova e non quindi, come attualmente previsto, anche per il relativo piano formativo individuale. Inoltre, si abrogano i commi 3-bis e 3-ter del Dlgs 167 del 2011 (il Tu Sacconi), introdotti dalla legge Fornero, eliminando le vigenti previsioni (oltremodo restrittive) secondo cui l’assunzione di nuovi apprendisti è necessariamente condizionata alla conferma in servizio di almeno il 30% degli apprendisti dipendenti, al termine del percorso formativo. Sempre sull’apprendistato, stavolta però di primo livello, si viene incontro alle esigenze delle imprese (anche in vista dell’imminente avvio del programma sperimentale di apprendistato a scuola previsto dal decreto Carrozza) stabilendo che la retribuzione del giovane apprendista, per la parte riferita alle ore di formazione, sia pari al 35% della retribuzione del livello contrattuale di inquadramento. Per il datore di lavoro, poi, viene eliminato l’obbligo di integrare la formazione di tipo professionalizzante e di mestiere (l’apprendistato di secondo livello) con l’offerta formativa pubblica, che diventa così un elemento discrezionale.
Novità, infine, anche sul Durc che viene “smaterializzato”, superando l’attuale sistema che impone ripetuti adempimenti burocratici alle aziende.
Il Sole 24 Ore – 13 marzo 2014