Dalle agevolazioni fiscali per la baby sitter al «premio alla natalità», ecco tutte le misure per invertire la tendenza, ma sono insufficienti.
L’emergenza numero uno del Paese. Ma facciamo finta di non saperlo. «Gli italiani non hanno più figli — allerta l’Istat —. Avanti di questo passo e nel 2065 saremo 7 milioni in meno». Che poi vuol dire: meno ricchezza, meno pensioni. «E chi ce lo fa fare (di mettere al mondo figli, sottinteso) — rispondono le donne —. Se poi ci dobbiamo ritrovare rose dai sensi di colpa, macchine per il multitasking senza più tempo neanche per pensare?».
Non se ne esce. Che il problema sia ancora tutto delle donne è una realtà, purtroppo. A un anno e mezzo dall’inizio del congedo di maternità, in media le dipendenti guadagnano il 30% in meno del reddito che percepivano all’inizio della gravidanza. Questo tenendo conto che poco più del 20% delle donne — dopo lo stesso anno e mezzo — non è più occupato. Proprio così: una donna su cinque abbandona il lavoro dopo la nascita di un figlio.
La riduzione delle ore
Se togliamo dal conteggio questo 20% di donne che rinunciano a lavorare e consideriamo solo quelle che mantengono il posto, allora la riduzione dello stipendio medio è del 15%. Dovuta a due motivi. Da una parte il 20% delle mamme che non rinunciano a lavorare passa al part time. Dall’altra per chi resta a tempo pieno (circa il 64% di quelle considerate all’inizio del monitoraggio) la riduzione delle ore lavorate con l’utilizzo di congedi e permessi è del 10%. Tutto questo avviene, come è ovvio, senza che la retribuzione da contratto cambi di un euro.
I numeri appena illustrati sono evidenziati da una ricerca condotta nell’ambito del progetto Visit Inps su tutte le donne che hanno avuto figli dal 2009 al 2012. Di fatto certificano quello che le mamme lavoratrici sperimentano ogni volta che verificano il saldo del conto corrente. Cosa si sta facendo per consentire alle madri di mantenere il lavoro? Qualcosa si muove. Anche se, in epoca di risorse scarse, la tentazione resta sempre quella di considerare il problema una questione da risolvere in famiglia.
Le misure in campo
Numerose le misure che cercano di intervenire sul primo anno dopo la nascita del figlio, il periodo più delicato. Ma pochissimo si fa per rendere sostenibile sul piano economico e dei servizi la routine «a regime» del lavoro e degli impegni familiari. Un esempio: le agevolazioni fiscali per chi arruola una badante sono già molto basse ma per chi ha bisogno di una baby sitter sono addirittura inferiori. Un mese al nido arriva a costare anche 700 euro al mese. E per le donne che ne guadagnano mille il gioco non vale la candela, soprattutto se si tiene conto che il marito perde il contributo che avrebbe se la moglie fosse un «familiare a carico».
Tornando al primo anno dopo la nascita del bambino, la misura che più di tutte è pensata per le donne che lavorano è il voucher baby sitter. Istituito nel 2013, è stato prorogato con una dotazione di 20 milioni l’anno da ogni legge di Bilancio. Nell’ultima è stato fatto un passo avanti importante: la misura è stata prorogata per due anni (2017 e 2018) sia per le lavoratrici dipendenti e iscritte alla Gestione separata (nel limite di spesa di 40 milioni di euro per ciascuno dei due anni) sia per le lavoratrici autonome e imprenditrici (10 milioni di euro per ciascuno dei due anni). Morale: si è passati da 20 a 50 milioni l’anno. L’incentivo — riservato alle donne che rinunciano al congedo parentale (i sei mesi pagati al 30% dello stipendio) — è di 600 euro al mese per sei mesi. Questi soldi vanno usati per pagare nido e baby sitter. Come stanno rispondendo le italiane? Nei primi due mesi del 2017 — fa il punto l’Inps — sono stati impegnati una decina di milioni. Insomma, la domanda pare in linea con gli stanziamenti.
Riguarda tutte le donne e non solo quelle che lavorano il bonus nido introdotto sempre con la legge di Bilancio 2016. Vale fino a mille euro l’anno e può essere assegnato per ogni figlio nato o adottato a partire dal primo gennaio 2016. L’Inps provvederà entro il 18 maggio a pubblicare sul sito le modalità per la richiesta del contributo.
Bonus e paternità
Per finire c’è il bonus mamma o «premio alla natalità» da 800 euro una tantum. Anche questo riguarda tutte le donne e non solo quelle che lavorano. E potrà essere chiesto da tutte le famiglie, senza limiti di reddito, dal prossimo 4 maggio. Ultimo ma importantissimo: il congedo di paternità. Di recente se ne è parlato per rilevare che quest’anno sono venuti meno due giorni facoltativi. «Dovendo fare i conti con risorse limitate, abbiamo preferito raddoppiare le giornate obbligatorie che da due passeranno a quattro già dall’anno prossimo» spiega Marco Leonardi, consigliere economico della presidenza del Consiglio.
Il Corriere della Sera – 30 aprile 2017