Marino Longoni. Continuano a crescere le imposte locali. I dati sulle addizionali Irpef regionali per il 2015, resi noti nei giorni scorsi, dimostrano che i governatori usano una mano sempre più pesante nei confronti dei contribuenti (approfondimento alle pagine 6 e 7). La maggior parte delle regioni ha, infatti, aumentato le aliquote delle proprie addizionali rispetto a quelle standard.
Nel Lazio si applicherà l’aliquota massima (3,33%) già sopra i 15 mila euro di reddito. In Piemonte sopra i 55 mila si applica il 3,32. Non sono ancora disponibili i dati di tutte le aliquote delle addizionali locali deliberate dai comuni. Ma si sa già che anche qui in molti casi si applicherà l’aliquota massima. A Roma e Torino, per esempio, la somma delle due addizionali, comunali e regionali, supererà il 4%. A fronte di questo continuo aggravio delle imposte locali non c’è nessun alleggerimento delle imposte erariali, contrariamente a quanto previsto dal decreto legislativo sul federalismo fiscale, che prevedeva l’invarianza di gettito complessivo. Infatti l’articolo 2 del decreto n. 68 del 2011 disponeva che a fronte di un aumento delle imposte regionali e comunali ci sarebbe dovuta essere anche una riduzione di quelle statali. Il federalismo fiscale, fondato sulla possibilità per chi paga le imposte di controllare chi amministra la cosa pubblica (principio del voto, vedo, pago), si è rivelato una favola. Le imposte locali sono in costante aumento, anche se in modo leggermente diverso da regione a regione, e quelle erariali non sono diminuite (anzi sono aumentate).
Se il federalismo fiscale è stato dominante quando al governo c’era il centrodestra, con i governi di centrosinistra ha prevalso un’altra narrazione, quella del «pagare tutti per pagare meno». La lotta all’evasione come strumento per perseguire l’equità tra i contribuenti. Negli ultimi anni si sono concesse all’Agenzia delle entrate e a Equitalia armi micidiali per combattere questa battaglia: trasparenza bancaria, redditometro, spesometro, limitazione al contante, anagrafe tributaria, sequestro conservativo, pignoramento presso terzi, fermo amministrativo, riscossione in pendenza di giudizio, sono solo le più importanti. Secondo dati ufficiali dell’Agenzia delle entrate gli incassi da attività di accertamento e controllo sono più che triplicati negli ultimi otto anni, passando dai 4,3 mld del 2006 ai 13,1 mld del 2011. Ancora più incisiva dovrebbe essere stata l’attività di moral suasion, visto lo sforzo profuso dai governi di centrosinistra in questa direzione. Quindi l’evasione dovrebbe essere diminuita (ed è anche questo il sentire comune). Ma le imposte no. Le entrate fiscali nel 2007 erano pari al 44% del pil, nel 2014 sono salite al 48% (dati Istat). Il pagare tutti per pagare meno si è rivelata per quello che è: una favoletta. Un espediente retorico per far digerire all’opinione pubblica regole sempre più asfissianti mediante la promessa di un futuro meno opprimente, che però non arriva mai.
Ma la bufala più clamorosa, raccontata da tutti i governi, di destra e di sinistra, è quella del taglio alla spesa pubblica, ultimamente declinato con l’inglesismo di spending review. Da decenni ormai ogni manovra economica, legge Finanziaria o legge di Stabilità, tenta di correggere i conti pubblici agendo in parte sull’aumento delle entrate e in parte sul taglio della spesa. La prima parte della manovra funziona, lo dimostrano i dati sulla pressione fiscale, in costante aumento. La seconda parte no. Nel 1999 il totale delle uscite al netto di interessi e investimenti era pari al 36% del pil. Nel 2014 siamo arrivati al 43% (dati Istat). Un balzo in avanti del 7%, nonostante decine di manovre di spending review. Evidentemente erano tagli più finti che reali, fatti per far digerire ai contribuenti stangate vere. Cosmesi normativa. Fiabe per adulti. Appunto.
Italia Oggi – 11 maggio 2015