Riportare sulla confezione o nel menu le caratteristiche nutrizionali degli alimenti aiuta a fare scelte più sane?
A quanto pare no, secondo uno studio pubblicato on line sull’International Journal of Obesity. Solo il 9% degli adolescenti e il 28% dei gentitori si fa orientare da quanto c’è scritto sulle etichette.
Ci avevano sperato un po’ tutti: che le etichette che riportano le caratteristiche nutrizionali dei cibi servissero a far propendere il consumatore per gli alimenti più sani e a dare un taglio alla dilagante epidemia di sovrappeso e obesità. Al punto che negli USA, New York in primis, è stato imposto l’obbligo che anche i fast food riportassero le calorie sui cibi venduti. Ma si trattava soltanto di una pia illusione.
Almeno a sentire uno studio pubblicato on line sull’International Journal of Obesity, che ha preso in considerazione le due categorie che rappresentano il target primario di queste iniziative: gli adolescenti e i genitori che fanno la spesa per i loro figli. Lo studio, condotto da ricercatori della New York University School of Medicine, ha coinvolto più di 400 genitori e adolescenti che mangiavano abitualmente nei fast food, prima e dopo l’obbligo di esporre i valori nutrizionali dei cibi.
E i risultati sono stati una doccia gelata per i sostenitori della trasparenza alimentare: soltanto il 9 per cento degli adolescenti dichiarava di lasciarsi influenzare dalle etichette, mentre sono sembrati più attenti i genitori (il 28 per cento ha scelto cibi a più basso contenuto calorico).Il problema è che nel complesso non è cambiata la quantità di calorie che mediamente il fast food erogava ai propri clienti: 700 calorie per gli adolescenti e 600 per i bambini.
In sostanza si lascia influenzare dalle etichette chi già è sensibile al problema e che magari avrebbe scelto comunque un cibo meno calorico.A indirizzare la scelta, invece, è il gusto del cibo acquistato e il prezzo. E ciò vale soprattutto per gli adolescenti. Le calorie, invece, importano poco, come dimostra il fatto che vengono sistematicamente sottostimate..
“È importante capire che probabilmente l’etichettatura non esercita una sufficiente influenza sull’obesità”, ha commentato uno degli autori dello studio, Brian Elbel, docente presso l’ateneo newyorkese. “Servono altri politiche pubbliche, così come la collaborazione delle aziende e di tutti gli attori coinvolti”.
Quotidianosanita.it – 18 febbraio 2011