“Consumare previa cottura”: questa è la dicitura che troviamo sui prodotti destinati a essere consumati cotti, dal pollo crudo al cotechino. La scritta però compare anche nell’etichetta di alimenti come il salmone affumicato o i wurstel, che vengono comunemente consumati così come sono. Si tratta di una forma di autotutela del produttore che cerca di declinare ogni responsabilità attraverso una scritta che avverte su eventuali rischi per la salute se si consuma il prodotto senza “cuocerlo”. Quello che invece si trova poco sulle etichetta sono le modalità e i tempi di cottura per evitare inconvenienti. Vale a dire, basta una “scottatina” o è meglio farci uno stufato? La questione è complessa proprio per la moltitudine di sistemi esistenti: dai metodi tradizionali su fiamma o in umido, agli ultrarapidi con microonde.
Per non parlare delle innovative cotture a bassa temperatura che si possono realizzare addirittura con la lavastoviglie (Dishwasher Cooking).
Un’indicazione utile per cucinare le vongole evitando sorprese, viene fornita dai ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie: The effectiveness of domestic cook on inactivation of murine norovirus in experimentally infected Manila clams. Lo studio consiglia una cottura per 10 minuti con il sistema tradizionale domestico a una temperatura che deve arrivare e restare vicina ai 100° C per almeno 2 minuti (in pratica devono bollire per questo tempo). In questo modo si devitalizza completamente il Norovirus, uno dei più diffusi responsabili di gastroenteriti acute di origine non batterica.
Secondo gli autori questo è anche il tempo necessario per far sì che la maggior parte dei frutti di mare si apra per effetto del calore e corrisponde alle raccomandazioni fornite dal Ministero della Saluteper inattivare il virus dell’Epatite A (gruppo dei virus in grado di contaminare anche i frutti di bosco crudi, oltre a ostriche, cozze e vongole).
Con la consueta pragmaticità la Food and Drug Administration americana (FDA), ha stabilito quali dovrebbero essere le temperature interne minime da raggiungere durante la cottura, (misurate con un termometro a sonda al centro delle pietanze):
74 ° C per 15 secondi
§Pollame (intero o macinato di pollo, tacchino, anatra) e ripieno
§Carni macinate, pesce, pollame, lasagne
§Eventuali cibi precedentemente cotti e riscaldati a una temperatura inferiore 57 ° C
§Qualsiasi alimento potenzialmente pericoloso come pollame, carne, pesce, o uova, cotto in forno a microonde
68 ° C per 15 secondi
§Carni rosse (manzo o maiale)
§Carni come arrosti e prosciutti iniettati con salamoie e insaporitori
§Pesci di fondo o pesce tritato ( sushi)
§Uova cotte per il consumo non immediato
63 ° C per 15 secondi
§Bistecche e braciole di manzo, maiale, vitello e agnello
§Pesce
§Uova cotte per il consumo immediato
63 ° C per 4 minuti
§Arrosti (già cotti anche a basse temperature per tempo prolungato)
57 ° C per 15 secondi
§Frutta cotta o verdura per il consumo non immediato
§Alimenti pronti per il consumo non immediato
Uno schema simile sulle modalità di cottura, in grado di neutralizzare i pericoli microbiologici, non è stato ancora elaborato dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), che tuttavia è prodiga di riferimenti in questo senso nelle opinioni scientifiche.
Poiché la prevenzione delle malattie trasmesse da alimenti si basa, oltre che su provvedimenti per garantire la salubrità del cibo, anche sulla diffusione di corrette informazioni, vale forse la pena di suggerire alle imprese alimentari di riportare in etichetta indicazioni precise sulle modalità di cottura per i prodotti che la richiedono prima del consumo, oltre a qualche buona ricetta.
Fabrizio de Stefani – Il Fatto Alimentare – 5 novembre 2013