Un laureato vive 5,2 anni in più di chi ha conseguito al più la licenza elementare. Ma nelle regioni del Sud e delle Isole un laureato muore prima di un laureato del Centro Nord, così come aver adempiuto solo alla scuola dell’obbligo in queste Regioni espone a un rischio di morte maggiore che al Centro Nord.
Le disuguaglianze di salute spaccano ancora di più l’Italia secondo i dati che saranno presentati il 4 giugno al Festival dell’Economia di Trento dall’epidemiologo Giuseppe Costa, professore all’Università di Torino. Ma c’è anche una buona notizia: la salute in Italia è disuguale ma meno che negli altri paesi europei di pari sviluppo.
Il rapporto messo a punto da Costa illustra una serie di disuguagliane che vanno di pari passo con le condizioni sociali degli individui.
Ad esempio, un disoccupato presenta disturbi mentali due volte e mezza più spesso di un occupato sia prima sia dopo la crisi; tuttavia, con la crisi, la platea dei disoccupati è aumentata e il numero di casi di disturbi mentali attribuibili alla disoccupazione è raddoppiato.
La graduatoria delle malattie più disuguali, che sono cioè causa di eccessi di morte tra le persone di bassa istruzione, spiega Costa, evidenzia quanto siano importanti le malattie correlate ai comportamenti insalubri più frequenti, alle peggiori condizioni lavorative, alla maggiore esposizione allo stress cronico, a più rischi ambientali, minore capacità di usare le cure che servono e a maggiore vulnerabilità alle conseguenze sociali dell’esperienza di malattia. Ognuno di questi eccessi rivela indirettamente il meccanismo con cui lo svantaggio sociale minaccia la salute.
Così ad esempio a parità di età, su cento persone laureate solo 14,3 fumano, mentre su cento persone con la scuola dell’obbligo ben 28,7 consumano tabacco. Analogamente solo il 3% dei laureati sono obesi contro il 9,4% dei meno istruiti, e il 46,3% dei laureati sono sedentari contro il 67,4% di chi è in possesso della scuola dell’obbligo8. Così pure su cento lavoratori non manuali solo 28 sono esposti a stress cronico mentre tra i lavoratori manuali sono 429. Idem con i rischi ambientali (le persone più deprivate hanno una probabilità doppia di risiedere vicino ad una discarica)10. La crisi non ha aggravato queste differenze, anzi, probabilmente anche grazie alla minore sostenibilità della spesa per consumi voluttuari, sono diminuiti i forti fumatori uomini (-3,9%), l’abuso di alcol (-19,3% tra gli uomini e -19,5% tra le donne) e il consumo eccessivo di carni, e specialmente di quelle rosse, (-2,4% e -8,6%), in tutte le categorie sociali.
“Purtroppo – commenta Costa – la diminuzione nell’esposizione a questi fattori di rischio, tranne che per il consumo alcolico, è stata più forte nelle categorie più avvantaggiate, con un conseguente aumento delle relative disuguaglianze”.
Ma in Europa l’Italia non è quella che sta peggio.
Secondo il rapporto, i paesi con disuguaglianze più spiccate come la Lituania presentano fino a dieci anni di vantaggio nella speranza di vita libera da disabilità tra più e meno istruiti se maschi e più di sette anni se femmine; mentre l’Italia presenta la forbice più stretta con soli quattro anni di differenza tra gli estremi negli uomini e due nelle donne. In posizione intermedia, ma peggiore rispetto all’Italia si collocano paesi del centro Europa come Francia (6,8 anni negli uomini e 4,4 anni nelle donne) e Austria (7,8 anni e 5,3 anni rispettivamente negli uomini e nelle donne).
“Merito di alcuni fattori peculiari italiani come la sanità pubblica e la dieta”, commenta Costa. Che spiega come sul versante preventivo la dieta mediterranea in Italia è ancora patrimonio comune e distribuito in modo uniforme tra gli strati sociali e sul versante sanitario le cure sono offerte gratuitamente a tutti tramite il Servizio Sanitario Nazionale. “Si tratta di due fattori di resilienza – afferma – contro le disuguaglianze di salute che è importante mantenere e rafforzare”.
Il rapporto di Costa getta anche acqua sul fuoco della crisi economica. Nel senso che la preoccupazione che le misure di austerità nella spesa pubblica compresa la spesa sanitaria avessero ricadute negative sulla tutela della salute e sulle disuguaglianze di salute “sembra eccessiva”, afferma il rapporto, secondo il quale “il ricorso al medico generale, al ricovero, ai farmaci prescrivibili è rimasto invariato o è aumentato, soprattutto a vantaggio delle persone di bassa posizione sociale che hanno più bisogni di salute. Solo il ricorso allo specialista e agli esami è più frequente tra le persone di più alta posizione sociale, nonostante siano più sane, questo perché una parte significativa di visite ed esami si effettua a pagamento”.
E il Rapporto interviene anche sull’abbandono delle cure per la crisi. Sette italiani su cento hanno dovuto rinunciare a una prestazione sanitaria, in buona parte a causa della spesa da sostenere; nonostante la crisi, tale quota non è cambiata negli ultimi dieci anni, un livello non troppo diverso dalla media dei paesi dell’Unione Europea, anche se superiore rispetto ai paesi con un sistema sanitario analogo a quello italiano, come Regno Unito (4%) e Spagna (5%).
La media italiana nasconde però il fatto, aggiunge il rapporto, che la rinuncia alle prestazioni sanitarie è diminuita negli ultimi anni al livello dei nostri pari europei nelle Regioni italiane del Centro Nord ed è nettamente aumentata in quelle del Sud, un aumento che dal 2013 interessa maggiormente i più poveri”.
Costa nel suo rapporto sottolinea anche gli effetti del superticket: quando nel 2011 è stato introdotto su visite ed esami, il ricorso a questi livelli di assistenza è risultato invariato o addirittura aumentato tra gli assistiti più bisognosi, cioè esenti per reddito o per malattia. “Questo significa – spiega – che il sistema di esenzione è in grado di proteggere dall’austerità il diritto di accedere alle visite ed esami per le persone più bisognose. Tuttavia, poiché i più abbienti possono pagarsi di tasca propria le cure non prescrivibili o per le quali la lista d’attesa sembri troppo lunga, succede che ci siano notevoli differenze sociali nei tempi di attesa dell’accesso alle cure”.
Secondo il rapporto, le disuguaglianze di salute hanno un impatto significativo sui carichi di sofferenza, con le relative ricadute anche sulla produttività e sul fabbisogno assistenziale. Gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite che il nostro paese ha sottoscritto usano l’equità come un “filo rosso” che attraversa tutte le dimensioni della sostenibilità, compresa quella della salute e dei suoi determinanti.
“Questo – conclude – suggerisce un impegno nazionale che si proponga di rendere l’Italia il paese con la salute più uguale in Europa, riducendo le disuguaglianze sociali di salute che sono evitabili e ingiuste16. Anche per questo scopo, l’Italia si appresta a coordinare la nuova Joint Action dell‘Unione Europea sulle disuguaglianze di salute”.