DI MICHELE BOCCI. Meno ospedali, meno medici, soprattutto sul territorio, offerta di visite ed esami più bassa e liste d’attesa sempre più lunghe. Quello della sanità italiana è un declino costante, iniziato già da molti anni e accompagnato senza sussulti dal governo di centrodestra, che stima una riduzione della spesa sanitaria rispetto al Pil almeno fino al 2027.
Gli ospedali perduti
Nel 2002 in Italia c’erano 1.286 ospedali, vent’anni dopo, certifica la nuova edizione dell’Annuario statistico del servizio sanitario nazionale da poco pubblicato dal ministero alla Salute, il numero è sceso a 996. Sono cioè 290 in meno. Se si guarda agli ultimi dieci anni, l’Italia ha perso 95 strutture. Di conseguenza sono diminuiti anche i posti letto, che erano oltre 280 mila sempre nel 2002. Vent’anni dopo sono scesi a 225 mila. Caleranno ancora perché dopo il Covid, quando erano state aperte molte nuove degenze e ci si era avvicinati a 260 mila letti, si è ricominciato a tagliare con decisione. Se si guarda alle Regioni, nel ventennio la Lombardia ha perso 9 mila letti, il Lazio 8 mila, la Toscana 6 mila, il Veneto 5 mila, la Sicilia e la Campania e l’Emilia-Romagna 4 mila.
Va specificato che dietro alla riduzione di ospedali e letti c’è in primo luogo un miglioramento clinico e tecnologico della sanità, che ha portato a ridurre i tempi dei ricoveri e a fare in day surgery interventi che una volta richiedevano la degenza. Però nei vent’anni presi in esame gli italiani sono aumentati, passando da 57 a 59 milioni, e il nostro Paese è diventato tra quelli che hanno meno posti in ospedale per mille abitanti.
Basta vedere i problemi che hanno molti pronto soccorso quando devono ricoverare per capire che bisognerebbe almeno rivalutare le dotazioni ospedaliere. Secondo il Forum di 75 società scientifiche mediche coordinato da Francesco Cognetti si stima, addirittura, «che negli ospedali italiani manchino almeno 100 mila posti di degenza ordinaria e 12 mila di terapia intensiva».
Medici di famiglia scomparsi
La questione del personale è centrale per la sanità italiana. I medici ospedalieri, che sono circa 100 mila, denunciano carenze di 10-15 mila professionisti. I problemi riguardano soprattutto certe specialità (pronto soccorso, chirurgia, anestesia), che sono sguarnite in modo importante. Il malessere è testimoniato dalle fughe. Si stima che tra il 2019 e il 2022 in 11 mila abbiano scelto di lasciare il servizio pubblico, mentre tanti giovani appena specializzati scelgono l’estero.
Poi c’è il territorio, dove in questianni c’è stato un calo significativo. I medici di famiglia nel 2022 erano 39.366, cioè oltre 6 mila in meno dei 45.437 del 2012 e 7 mila e 500 in meno dei 46.907 del 2002. I pediatri in 10 anni sono scesi di quasi 700 unità fino a 6.962. E la guardia medica, della quale vent’anni fa facevano parte 14.322 professionisti, oggi conta 10.671 medici.
Visite e esami in calo
Scende il numero di strutture di cura e di professionisti e anche l’offerta va in crisi. La specialistica, cioè visite ed esami, offre meno prestazioni degli anni precedenti al Covid. Nel 2019 negli ambulatori pubblici italiani si facevano 210 milioni di prestazioni, nei primi sei mesi del 2023 ci si è fermati a 100 milioni. Visto che nel secondo semestre c’è l’estate, ci si fermerà certamente sotto la soglia dell’anno pre pandemia. Il tutto, mentre la domanda dei cittadini è in aumento, di certo anche con una quota di inappropriatezza, circostanza che porta a un aumento delle liste di attesa.
Chi paga e chi rinuncia
Con il pubblico che non investe abbastanza in sanità, a pagare sono i cittadini, che tirano fuori soldi di tasca propria principalmente per la specialistica, proprio per evitare le liste di attesa. La Corte dei conti ha da poco ricordato che nel 2022 la spesa sanitaria a carico delle famiglie «è stata il 21,4% di quella totale, pari a un valore pro capite di 624,7 euro, in crescita del 2,1% rispetto al 2019». In Francia l’out of pocket vale l’8,9% e in Germania l’11%. E chi non può permettersi di pagare? O aspetta, ammesso che il pubblico riesca ad assicurargli la prestazione o non si cura. Secondo il Rapporto sul benessere equo e sostenibile (Bes) di Istat, nel 2023, primo anno intero del governo Meloni, hanno rinunciato alle cure il 7,6% dei cittadini italiani, cioè oltre 4,5 milioni di persone. Erano circa 400 mila in meno nel 2022 e 700 mila in meno nel 2019. A crescere è la quota di chi rinuncia per problemi di liste d’attesa.
La Repubblica