Servizio di Repubblica del 12 dicembre. L’obiettivo è bloccare il coleottero che infesta gli alveari. I produttori sul piede di guerra “Non è aviaria o mucca pazza il parassita si diffonde lo stesso”. In Italia si rischia uno sterminio delle api. Sono già 3.600 gli alveari bruciati negli ultimi tre mesi in Calabria dove è cominciata l’infestazione: 250 milioni gli insetti dati alle fiamme per ordine del ministero della Salute che così tenta di arginare la diffusione di un nuovo parassita arrivato per la prima volta in Europa, l’Aethina tumida.
Si tratta di un piccolo coleottero che vive nelle arnie, manda in malora il miele e si sposta velocemente, tanto che è già arrivato anche in Sicilia. Ma finora i roghi non sono riusciti a sconfiggerlo: per questo sta montando la rivolta degli allevatori.
«L’eradicazione è una strategia distruttiva per l’apicoltura: non stiamo parlando di una malattia veterinaria con un virus trasmissibile all’uomo, come nel caso dell’aviaria o della mucca pazza, ma di un insetto che può sopravvivere anche fuori dall’arnia » lancia l’allarme Ermanno De Chino, proprietario a Ispica, in provincia di Ragusa, di un’azienda che produce e esporta sciami, 4 mila quelli venduti ogni anno dalla Finlandia al Belgio. «I nostri prodotti non sono infestati ma da quando è scattata l’emergenza ci hanno cancellato tutti gli ordini. I clienti hanno paura del contagio e il divieto di spostare le api deciso dalla regione Sicilia per contenere la diffusione del parassita ci impedisce di portarle in zone indenni ».
Avvistata il 5 settembre scorso a Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria, l’Aethina tumida si è diffusa un po’ ovunque nella regione perché in grado di volare seguendo l’odore degli alveari anche per venti chilometri. Poi si è affacciata a Siracusa, in Sicilia, e adesso preoccupa tutta Italia. Se in Calabria sono settanta gli apicoltori che hanno fatto ricorso al Tar contro i roghi, dalla Valle d’Aosta all’Umbria si cerca il modo per tenere alla larga il coleottero. La sua diffusione nazionale comporterebbe infatti il blocco totale delle esportazioni: una catastrofe per i 50mila apicoltori e per il giro d’affari da 70 milioni di euro. Trovare una soluzione unitaria spetta al ministero della Salute ma nei vari vertici svolti sull’emergenza, l’ultimo ieri, si è deciso di pro- seguire con gli incendi, nonostante il parere contrario di allevatori e studiosi.
«Il ministero continua a muoversi come se avesse a che fare con delle vacche e non con delle api: durante la mucca pazza abbatteva i capi di bestiame, ora distrugge gli alveari » spiega Vincenzo Palmeri, docente di Entomologia agraria all’Università Mediterranea di Reggio Calabria, il primo in Italia a individuare e denunciare la presenza del coleottero. «Per carità, sta applicando il regolamento europeo che chiede la pulizia veterinaria ma per ora non è stata una tecnica efficace, le larve sono ricomparse. Secondo me non siamo di fronte a focolai sporadici ma al primo insediamento di una nuova specie invasiva e per questo l’eradicazione non funzionerà. Bisogna trovare il modo per conviverci, come già hanno fatto altrove». Concorda Peter Neumann, docente all’Università di Berna e tra i massimi esperti di studi sul coleottero: «La scoperta in Italia di questo insetto nocivo significa l’inizio della sua presenza stabile in Europa», spiega.
Di certo in Florida o in Canada, dove il parassita si è presentato quasi quindici anni fa, le strategie di contenimento alternative, fatte con le trappole al posto dei roghi, hanno funzionato. E l’Associazione nazionale apicoltori italiani chiede che vengano prese in considerazione anche da noi. «Tenere sotto controllo la popolazione del parassita, limitando i danni all’alveare, è l’unica via da seguire — si legge in una relazione presentata al ministero — perché le procedure attuate in Calabria non hanno impedito che il coleottero si diffondesse ancora e il rilievo di nuove infestazioni non può mettere a rischio distruzione il grande patrimonio economico dei nostri alveari».
Repubblica – 12 dicembre 2014