Alzare lo stipendio di chi non ha più l’articolo 18. Ed è stato assunto con il nuovo contratto a tutele crescenti, introdotto nel 2015 dal Jobs Act del governo Renzi. Succederà quando dal 2021 in poi – il cuneo fiscale di questi lavoratori, la differenza tra il costo lordo per l’imprenditore e il netto in busta paga, sarà tagliato di 3 punti percentuali, a favore sia dell’impresa che del dipendente. E a carico dello Stato. Scendendo così dal 33 al 30%. Questa almeno l’intenzione del governo. Che ieri ha presentato a Cgil, Cisl e Uil il pacchetto di misure per i giovani.
La proposta di sgravi è ormai quasi definita: tre anni con contributi previdenziali dimezzati, per sempre, alle imprese che assumono in pianta stabile under 29 o under 32, si vedrà. I contatti con Bruxelles, che deve autorizzare la soglia, sono stati già avviati. L’obiettivo è quello di favorire almeno 300 mila contratti a tempo indeterminato nel 2018. Senza sfavorire chi un posto ce l’ha, grazie a una clausola anti-licenziamento che eviti l’effetto sostituzione: dentro i ragazzi, fuori i maturi. E senza spiazzare nemmeno l’apprendistato.
Le opzioni per l’imprenditore, dal prossimo gennaio, sarebbero dunque due. La prima: assumi un giovane con un contratto a tutele crescenti senza licenziare nessun altro, risparmi il 50% dei contributi per tre anni (versando attorno al 15%) e dal quarto hai comunque un costo del lavoro più basso e per sempre (30% anziché 33). La seconda: assumi un giovane con contratto da apprendista, hai contributi molto bassi per tre anni (l’11%), poi per altri tre anni dimezzati (15%) e dal settimo risali ma con lo sconto (30% anziché 33).
Il 2021 sarà dunque l’anno in cui il cuneo fiscale diminuirà in modo permanente. Favorendo non solo l’impresa (come negli sgravi triennali), ma anche il lavoratore con una busta paga un po’ più generosa, sebbene senza articolo 18. Sempreché questo impianto di taglio limitato a una sola tipologia di contratto quello a tutele crescenti, a prescindere se ha incassato o meno gli incentivi del 2018 – regga i possibili rilievi di anticostituzionalità (favorisce solo una parte dei lavoratori).
L’altra misura, illustrata ieri dal governo ai sindacati, riguarda invece le crisi aziendali. E punta ad attivare i lavoratori prima che questi siano licenziati, ovvero appena vengono messi in cassa integrazione straordinaria. Come? Ricevendo un assegno di ricollocazione che poi le agenzie del lavoro – pubbliche o private convenzionate possono incassare, se riescono a farlo assumere altrove in modo stabile. Il lavoratore è invogliato anche dalla possibilità di intascare tutto o una parte (ad esempio la metà) della cassa integrazione residua, nel momento in cui prende servizio presso il nuovo datore di lavoro.
Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti – affiancato dal capo economista di Palazzo Chigi, Marco Leonardi – ha poi assicurato ai sindacati che verrà rifinanziato il programma Garanzia Giovani, con 1,2 miliardi (per lo più coperti da fondi strutturali europei). Non si fermeranno dunque le offerte di stage e formazione ai neodiplomati e neolaureati under 29 (qui la soglia fu alzata con l’autorizzazione di Bruxelles che la voleva a 24 anni). E neanche gli incentivi inclusi in quel programma e mirati all’assunzione di Neet – giovani che non studiano né cercano un posto – e diragazzi senza lavoro del Sud. Con ogni probabilità verranno infine rafforzati, sempre grazie ai fondi Ue, gli organici dei Centri per l’impiego (circa mille contratti a tempo determinato). E lo staff per la gestione del Reddito di inclusione (altri 600 contratti a termine), la misura anti povertà in vigore da gennaio.
Repubblica – 6 settembre 2017