C’ è qualcosa di malato in un paese che nel bel mezzo della più grave recessione dal Dopoguerra, con un tasso di disoccupazione che è balzato in solo un anno dall’8,2 per cento al 9,8, con un tasso di occupazione di giovani e donne tra i più bassi delle economie dell’Ocse, con un dualismo nel mercato del lavoro che avrà effetti sociali devastanti nei prossimi decenni, con un reddito pro capite, infine, che ci ha riportati indietro di vent’anni, si continua a parlare di licenziamenti.
Prima di quelli nel settore privato, ora di quelli dei pubblici dipendenti. Per mesi i ministri tecnici – chi più chi meno – del governo di Mario Monti ci hanno spiegato che l’abbattimento del tabù dell’articolo 18 del vecchio Statuto dei lavoratori avrebbe favorito gli investimenti esteri, accresciuto la nostra credibilità tra gli investitori internazionali, aumentato le occasioni di lavoro, ridotto anche lo spread dei Btp decennali con i Bund tedeschi.
E vero che la riforma Fornero ha superato per ora solo l’esame della Commissione Lavoro del Senato, ma tutto ormai fa pensare che, anche quando le nuove regole saranno legge, quelle aspettative andranno largamente deluse. ll nostro problema non è mai stato l’articolo 18, né prima, né durante questa bruttissima crisi. Se dalla seconda metà degli anni Novanta non cresciamo più, se la produttività è costantemente diminuita, se i capitali esteri non arrivano più e preferiscono altri lidi come la Gran Bretagna, la Francia e la Germania,se gli investimenti privati languono non è affatto colpa dell’articolo 18. L’enfasi che è stata posta su quella norma ormai simbolica è stato un grave errore, tanto più che dieci anni prima l’umore del paese era già stato testato.
Anche i tecnici possono sbagliare. Ma la replica di un errore è ancora peggio. E incrina la compattezza dell’esecutivo. Perché se prima c’era una parvenza di unità nella compagine governativa, ora – sui licenziamenti degli statali – le divisioni sono diventante pubbliche e plateali. Non siamo ancora alla «lite tra comari., con protagonisti, nei primi anni Ottanta, i ministri Rino Formica (socialista) e Beniamino Andreatta (democristiano), che portò alle dimissioni del secondo governo Spadolini, ma il rischio è che ci si arrivi.
Elsa Fomero, ministro del lavoro. di fronte ai tentennamenti del collega dalla Funzione pubblica, Filippo Patroni Grilli, sui meccanismi per estendere la riforma del lavoro anche nella pubblica amministrazione, ha detto ciò che probabilmente pensa: le regole devono essere uguali indipendentemente dal settore in cui si è occupati, visto che già ci sono troppe segmentazioni e diseguaglianze nel nostro mercato del lavoro.
Ora, nessuno nega che il settore pubblico abbia una sua tipicità dal momento che il datore di lavoro è lo Stato, ma ci deve pur essere una strada perché un principio (quello dei licenziamenti disciplinari illegittimi che possono essere sanati o con il reintegro o con l’indennizzo) sia concretamente applicabile dovunque. Di vacue parole, e di impegni generici, ne abbiamo sentiti fin troppi. Nessuno – sia chiaro -vuole che gli statali siano licenziati se non lo meritano, ma che siano trattati come gli altri sì, anche perché, per quanto debbano sopportare un lungo blocco della contrattazione, non rischiano che salti il loro posto di lavoro. E di questi tempi non è per nulla poco. Ma come ha replicato Patroni Grilli alle dichiarazioni della Fornero? Il magistrato pro tempore prestato al governo ha detto che la questione è già stata affrontata e risolta nella legge delega che ha preparato ma che ancora non è stata esaminata dal Consiglio dei ministri. Bene, non resta che andare a leggersi la soluzione di Patroni Griffi. È il punto “I” dell’articolo 2 della bozza della legge delega che tra i compiti del governo indica quello di «riordinare la disciplina dei licenziamenti per motivi disciplinari; correlandola, mediante tipizzazione delle relative ipotesi legali e delle tutele, al rafforzamento dei doveri disciplinari dei dipendenti e dei dirigenti secondo le rispettive competenze, attribuzioni e responsabilità». Ora, si può essere anche a digiuno di codici e codicilli, ma in quella norma di chiaro non c’è volutamente nulla. È un bizantinismo da autentico azzeccagarbugli. La verità è che Patroni Griffi ha già firmato un protocollo con gli enti locali e i sindacati che stabilisce di fatto solo il reintegro nel caso di licenziamento disciplinare illegittimo. Da un ministro tecnico, ma forse da qualunque ministro, è lecito aspettarsi innanzitutto chiarezza.
Repubblica Affari e Finanza – 28 maggio 2012