I contratti collettivi nazionali e aziendali possono regolare la fruizione a ore dei congedi parentali. Le sentenze della Corte Costituzionale hanno via via chiarito quali parenti possono fruire dei congedi per l’assistenza ai disabili gravi. Infine, il decreto sulla Pa convertito in legge la settimana scorsa, ha stabilito che non vanno incontro a penalizzazioni, sul piano pensionistico, i lavoratori che usano il congedo parentale o quello previsto per donare il sangue. A questi e altri chiarimenti è dedicata la Guida “Congedi e permessi” del Sole-24 Ore di lunedì 4 novembre. La Guida fa il punto sui congedi dal lavoro previsti per il matrimonio e per l’assistenza dei figli (dall’allattamento alla malattia dei bambini), per l’assistenza a conviventi malati e per studio o motivi sindacali. Ecco le indicazioni per non sbagliare sulla procedura e sulla gestione dei periodi di astensione.
Sulle assenze a ore decide il contratto. Le intese collettive o decentrate possono regolare l’uso frazionato dei periodi di astensione facoltativa
Come gestire correttamente la fruizione di congedi e permessi spettanti ai lavoratori, dalla richiesta, agli obblighi retributivi, per arrivare all’organizzazione delle attività in azienda. È una delle tematiche su cui il datore di lavoro (e i lavoratori) devono essere sempre aggiornati: il quadro legislativo si presenta infatti come un puzzle complesso, costituito da tanti tasselli spesso difficili da coordinare tra loro. Alle norme di legge si aggiungono infatti gli interventi del «diritto circolatorio», che dettano le modalità operative per fruire delle giornate di astensione. L’ultimo intervento legislativo di una certa rilevanza sui congedi è avvenuto con il decreto legislativo 119/2011, che ha fatto un parziale riordino, andando a toccare alcune tipologie di permessi
L’effetto principale è stato quello di una stretta, volta a evitare possibili abusi, attraverso una ridefinizione dei criteri e delle modalità di fruizione, in particolare sulle giornate di astensione dal lavoro richieste per assistere i familiari disabili.
Altre disposizioni hanno introdotto innovazioni sul congedo di maternità, introducendo la possibilità del rientro flessibile al lavoro, in caso di eventi come l’interruzione della gravidanza.
Più recentemente, la riforma del lavoro approvata l’anno scorso (legge 92/2012) e poi la legge di stabilità 2013 (legge 228/2012) hanno effettuato altri interventi. La legge «Fornero» ha introdotto nel quadro normativo l’istituto dei permessi per la nascita del figlio destinati ai padri (si veda l’articolo a fianco).
L’altra disposizione ha invece ampliato la possibilità di fruizione del congedo parentale, anche a ore, secondo le regole adottate dai contratti collettivi: si tratta dei congedi che spettano a ciascun genitore lavoratore, nei primi otto anni di vita del bambino, fino a un periodo massimo di sei mesi di astensione (continuativo o frazionato).
Non ci cono riserve di competenza per la gestione delle modalità di fruizione dei congedi su base oraria: lo stesso ministero del Lavoro – con l’interpello 25/2013 – ha chiarito che i meccanismi operativi che riguardano il godimento del congedo parentale, i criteri di calcolo della base oraria e l’equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa, possono essere regolamentati anche dalla contrattazione di secondo livello e non solo da quella nazionale di settore.
Bisogna notare che lo spazio di manovra delle intese decentrate è a 360 gradi, poiché questo non è neppure circoscritto attraverso deleghe, che talvolta il legislatore affida alla contrattazione nazionale nei confronti dei livelli inferiori.
Quello della legge 228/2012 è dunque un intervento che apre la strada a una logica «fai da te», volta a migliorare le politiche di welfare aziendale, poiché questa novità dovrebbe consentire una maggiore elasticità nella conciliazione famiglia-lavoro, seppure contemperata con le esigenze datoriali.
La ratio di questi interventi sui permessi e sui congedi, di calare gli strumenti legislativi in un contesto più partecipato, è quella di contribuire a una maggiore produttività nelle aziende, tramite una più ampia flessibilità del lavoro.
Peraltro, sulla strada della conciliazione tra i tempi di vita e quelli di lavoro, si erano già mossi il Dpcm 277/2010 (individuando azioni positive ad hoc) e l’avviso comune sottoscritto dal ministero del Lavoro con le parti sociali il 7 marzo 2011, puntando sulla flessibilità degli orari di lavoro per la cura dei familiari.
Anche il sistema del welfare contrattuale deve essere visto come un’opportunità e sta muovendo i primi passi, per modellare l’impianto legislativo sulla materia dei permessi con l’istituzione di regole collettive, anche aziendali.
L’accordo tra Confindustria e le organizzazioni sindacali del 28 giugno 2011 può favorire queste politiche e far sì che il ruolo della contrattazione di secondo livello non si esaurisca in uno sterile rimando all’impianto legislativo, ma in un’attività di integrazione e adattamento delle diverse tipologie di congedi alle singole realtà imprenditoriali, così da creare una stretta correlazione tra il livello contrattuale e quello legislativo.
Assistenza fino a due anni Il congedo è frazionabile e spetta agli affini se mancano i congiunti più stretti
Sono sempre di più i lavoratori che possono chiedere il periodo di congedo straordinario per assistere un familiare con una grave disabilità. La Corte costituzionale è intervenuta più volte sul dettato dell’articolo 42, commi da 5 a 5-quinquies, del Dlgs 151 del 2001, estendendo il numero dei soggetti interessati, da ultimocon la sentenza n. 203, depositata il 18 luglio 2013 che ha “aperto” la strada anche al parente o l’affine entro il terzo grado convivente, quando manchino, siano deceduti o siano anch’essi portatori di patologie invalidanti gli altri soggetti idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave.
Le altre estensioni
La Corte costituzionale era già intervenuta, una prima volta, nel 2005 (sentenza n. 233), dichiarando l’illegittimità del comma5 perché non prevedeva il diritto di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi a fruire del congedo, qualora i genitori fossero impossibilitati a provvedere all’assistenza del figlio disabile.
Poi con la sentenza n. 158/ 2007, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dello stesso comma 5, nella parte in cui non prevedeva, in via prioritaria rispetto agli altri congiunti indicati dalla norma, anche per il coniuge convivente il diritto a fruire del congedo. Ancora nel 2009 (sentenza n. 19), la Consulta ha nuovamente sancito l’illegittimità del comma 5, in quanto non includeva fra i soggetti legittimati a fruire del congedo il figlio convivente, se mancano altri soggetti idonei.
Da questo succedersi di modifiche e di declaratorie di incostituzionalità deriva una sorta di graduatoria degli aventi diritto al permesso, in cui il grado di parentela successivo è condizionato dalla mancanza di quello precedente: e il coniuge convivente di una persona disabile in situazione di gravità accertata in base all’articolo 4, comma 1, della legge 104/1992; r in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, hanno diritto a fruire del congedo il padre o la madre, anche adottivi; t in assenza di questi, ha diritto a fruire del congedo uno dei figli conviventi; u in assenza dei figli conviventi, ha diritto a fruire del congedo uno dei fratelli o delle sorelle conviventi; i in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti di tutti i soggetti sopra elencati, il diritto spetta al parente o all’affine entro il terzo grado convivente.
Per tutti i soggetti legittimati, tranne che per i genitori, il diritto è subordinato alla sussistenza della convivenza, requisito che si intende soddisfatto anche nel caso in cui la dimora abituale del dipendente e della persona in situazione di handicap grave siano nello stesso sta ile manonnello stesso interno. Secondo la Funzione pubblica (circolare n.10/2012) il requisito sussiste anche nei casi in cui sia attestata la dimora temporanea, pur risultando diversa la dimora abituale (residenza) del dipendente o del disabile.
Vale anche per questo congedo il principio del «referente unico»: sia il congedo straordinario che i permessi di cui all’articolo 33 della legge 104 non possono essere riconosciuti a più di un lavoratore per l’assistenza alla stessa persona.
I permessi mensili
L’articolo 33 della legge 104/1992 stabilisce cheil dipendente che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado (o entro il terzo grado se i genitori o il coniuge della persona con handicap abbiano compiuto i sessantacinque anni di età, oppure siano affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti), ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa.
In deroga al principio del referente unico entrambi i genitori possono fruire, alternativamente, dei permessi per assistere un figlio con handicap. Il lavoratore dipendente ha, inoltre, diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone in situazione di handicap grave, a condizione che si tratti del coniuge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap abbiano compiuto i 65 anni oppure siano affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.
Ammessa l’assenza per studio ed esami
Il diritto a ottenere permessi per studio e formazione è garantito costituzionalmente dall’articolo 35, in base al quale uno dei principali compiti della Repubblica è la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori.
Discende da questa affermazione la possibilità per il lavoratore di assentarsi dal lavoro e la facoltà di aver diritto a periodi di aspettativa non retribuita con conservazione del posto di lavoro.
Va poi aggiunto che l’articolo 10 dello Statuto dei lavoratori prevede il non obbligo di attività supplementari e per gli studenti lavoratori riconosce un diritto soggettivo allo studio universitario.
Infine, la legge 53 del 2000 stabilisce che i lavoratori, sia del settore pubblico, sia del settore privato, con almeno cinque anni di anzianità presso la stessa azienda possono richiedere una sospensione del rapporto di lavoro per formazione per un periodo non superiore a 11 mesi (intero o frazionato), e questo copre l’intera vita lavorativa.
Ancora, in base all’articolo 6 della legge, i lavoratori, occupati e non occupati, hanno diritto di proseguire i percorsi di formazione per tutto l’arco della vita, per accrescere conoscenze e competenze professionali.
La formazione può corrispondere a un’autonoma scelta del lavoratore o essere predisposta dall’azienda, attraverso i piani formativi aziendali o territoriali concordati tra le parti sociali in coerenza con quanto previsto dall’articolo 17 della legge 196/1997.
La contrattazione collettiva di categoria, nazionale e decentrata, definisce il monte ore da destinare ai congedi per studio e formazione, i criteri per l’individuazione dei lavoratori e le modalità di orario e retribuzione connesse alla partecipazione ai percorsi di formazione.
Sotto il profilo dell’azienda, bisogna ricordare che, pur trattandosi, come si è visto, di una garanzia costituzionale per il dipendente, è nelle facoltà del datore di lavoro, quando sussistano comprovate esigenze organizzative o produttive, non accogliere la richiesta di congedo o rinviarne la fruizione. Diversa è la procedura per i permessi retribuiti concessi agli studenti lavoratori per sostenere gli esami: per questi, una volta richiesti, il datore di lavoro non potrà opporre un legittimo rifiuto.
La pausa per i figli guarda a entrambi i genitori
Dopo i cinque mesi di congedo obbligatorio per la madre, si può fruire dell’astensione facoltativa
Il congedo di maternità e il congedo parentale sono disciplinati dalla legge 53/2000, che ha poi dato luogo al Testo unico sulla maternità e sulla paternità (il Dlgs 151/2001). Vediamo, dunque, quali sono le caratteristiche dei diversi tipi di congedo.
Il congedo di maternità
È la cosiddetta astensione obbligatoria: la lavoratrice in gravidanza, alle dipendenze di un datore di lavoro privato o pubblico, deve obbligatoriamente astenersi dal lavoro nel periodo di cinque mesi che intercorre tra i due mesi precedenti e i tre mesi successivi al parto, eventualmente nel periodo tra la data presunta e la data effettiva del parto stesso, se quest’ultima cade dopo la data presunta.
La lavoratrice può anche optare per il congedo «flessibile», vale a dire avvalersi della possibilità di svolgere l’attività lavorativa durante l’ottavo mese di gestazione, per assentarsi il mese precedente il parto e i quattro mesi successivi. In questo caso, occorre il parere favorevole del medico specialista del Servizio sanitario nazionale e del medico competente in materia di sicurezza.
La domanda di congedo flessibile deve essere presentata all’Inps prima della fruizione del congedo o anche successivamente, purché le attestazioni del medico specialista siano state acquisite nel corso del settimo mese di gravidanza.
Viceversa, il congedo di maternità può essere anticipato se la lavoratrice è occupata in lavori gravosi e pregiudizievoli: per queste ipotesi è la direzione territoriale del lavoro (Dtl) che dispone l’interdizione anticipata, previo accertamento medico.
Dal 1º aprile 2012 (Dl 5/2012) è entrata in vigore una nuova procedura nel caso di gravi complicazioni in gravidanza o nel caso di condizioni di salute che possano essere aggravate dalla gravidanza: la lavoratrice deve presentare la richiesta – con il certificato medico – alla Asl e non più alla Dtl. Se il certificato di gravidanza a rischio è rilasciato da un ginecologo libero professionista, la lavoratrice deve poi recarsi presso un medico della Asl.
Il congedo post partum spetta ai padri lavoratori nei casi di morte, grave infermità o malattia della madre, abbandono del bambino da parte della stessa o affidamento esclusivo al padre.
Durante l’astensione obbligatoria la dipendente ha diritto a un’indennità a carico dell’Inps pari all’80% della retribuzione media giornaliera, senza vincoli di anzianità. Il datore di lavoro deve integrare la retribuzione per le giornate non indennizzabili dall’Inps e nei casi in cui i Ccnl lo prevedano. Con la circolare 139/2011, l’Istituto ha fornito le istruzioni sulla possibilità di ripresa anticipata del lavoro in caso di interruzione spontanea della gravidanza successiva al 180º giorno dall’inizio della gestazione o di decesso del bambino alla nascita o durante il congedo di maternità: in pratica, le lavoratrici possono riprendere in qualunque momento l’attività lavorativa – con un preavviso di dieci giorni al datore di lavoro – previo via libera del medico specialista del Ssn o convenzionato e di quello del lavoro.
Il congedo parentale
Il congedo parentale (la cosiddetta astensione facoltativa) spetta, nei primi otto anni di vita del bambino, a ciascun genitore lavoratore. Sono previsti al massimo sei mesi di astensione dal lavoro (continuativi o frazionati). L’astensione complessiva di entrambi i genitori non può eccedere i dieci mesi (si può arrivare a undici mesi, ma solo se il padre si astiene dal lavoro per un periodo non inferiore a tre mesi).
La legge di stabilità 2013 ha introdotto la possibilità di fruire dei congedi anche a ore, secondo le disposizioni adottate dai Ccnl o dai contratti collettivi di secondo livello.
Per effetto delle modifiche apportate al Testo unico dal Dlgs 119/2011, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, per ogni figlio minore con disabilità grave, hanno diritto (entro il compimento dell’ottavo anno di vita del bambino) a prolungare il congedo parentale (continuativo o frazionato) per un periodo non superiore a tre anni. Questo a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati, salvo che i sanitari richiedano la presenza del genitore.
Durante l’astensione facoltativa spetta un’indennità pari al 30% della retribuzione percepita dal richiedente nel mese o periodo lavorato prima dell’inizio dell’astensione.
Per l’allattamento due ore al giorno
Accanto al congedo obbligatorio e a quello parentale, ci sono i permessi giornalieri per allattamento, per adozione/affidamento e il congedo matrimoniale. I primi spettano alla madre lavoratrice dipendente (anche in caso di adozione o affidamento) dalla fine dell’astensione obbligatoria fino al primo anno di vita del bambino, nella misura di due ore (anche cumulabili) o di un’ora al giorno, a seconda che l’orario di lavoro giornaliero contrattuale normale sia superiore (o pari) oppure inferiore alle sei ore. Anche nell’ipotesi di un contratto part-time a declinazione orizzontale di una sola ora al giorno, il riposo per allattamento è comunque fruibile e coinciderà con la stessa. Nel caso di parto gemellare (o di affidamento di due o più bambini) i riposi raddoppiano. I permessi vanno indennizzati corrispondendo l’intero ammontare della retribuzione, rapportata all’ora: l’indennità è anticipata dal datore di lavoro e posta a conguaglio con i contributi dovuti all’Inps. Il diritto può essere goduto anche dal padre nel caso il figlio gli sia affidato in via esclusiva o in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga o alla madre casalinga. Il Dlgs 119/2011 ha disposto che i riposi giornalieri per allattamento, in caso di adozione o affido, siano fruibili entro il primo anno dall’ingresso del minore in famiglia, anziché entro un anno di vita del bambino. Un’altra fattispecie è quella del congedo matrimoniale, che è regolato dalla contrattazione collettiva e comprende di norma un periodo pari a 15 giorni di calendario. Il congedo matrimoniale dà diritto alla normale retribuzione giornaliera: per gli impiegati, totalmente a carico del datore di lavoro; per gli operai dipendenti da imprese industriali, artigiane o cooperative, in parte a carico di quest’ultimo e in parte dell’Inps (per sette giorni), anche se viene anticipato dall’azienda e posto poi a conguaglio con i contributi. Ai fini della corresponsione del cosiddetto assegno per congedo, il lavoratore deve presentare al datore di lavoro il certificato di matrimonio entro 60 giorni dalla celebrazione. L’azienda dovrà conservarlo per dieci anni. Ai lavoratori disoccupati o richiamati alle armi l’assegno è pagato direttamente dall’Inps, in seguito alla domanda che il lavoratore è tenuto a presentare all’Istituto entro un anno dalla data del matrimonio.
A casa (un giorno) anche il neopapà
Unpasso avanti verso la parità di trattamento, poco più che emblematico, tuttavia significativo: la legge 92/2012 ha introdotto l’obbligo per il padre lavoratore dipendente di astenersi dal lavoro per un giorno, entro cinque mesi dalla nascita del figlio. Entro lo stesso periodo, il padre lavoratore dipendente può scegliere di astenersi per ulteriori due giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione, in relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a quest’ultima. La legge (articolo 4, commi 24-26) introduce, a titolo sperimentale per gli anni dal 2013 al 2015, a sostegno della genitorialità: 1 un giorno di congedo obbligatorio, che il padre lavoratore dipendente deve fruire entro i cinque mesi dalla nascita del figlio o del suo ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento; 1 due giorni di congedo facoltativo, da usare comunque negli stessi cinque mesi.
Il congedo di un giorno, in quanto obbligatorio, è fruibile dal padre anche durante il congedo di maternità della madre lavoratrice, in aggiunta ad esso, mentre quello facoltativo di uno o due giorni, anche continuativi, è condizionato alla scelta della madre lavoratrice di non fruire di altrettanti giorni del proprio congedo di maternità, con conseguente anticipazione del termine finale del congedo successivo al parto per un numero di giorni pari al numero di giorni fruiti dal padre. Quest’ultima fattispecie si configura, quindi, non come un diritto autonomo del lavoratore padre, ma come un diritto derivato da quello della madre lavoratrice dipendente o iscritta alla gestione separata che in questo caso dovrà, ovviamente, trovarsi in stato di astensione dall’attività lavorativa.
Il giorno di congedo obbligatorio rappresenta, invece, un diritto autonomo del padre che ne fruisce indipendentemente dalla condizione lavorativa della madre. In entrambi i casi spetta al lavoratore una indennità giornaliera pari al 100% della retribuzione, a carico dell’Inps e anticipata dal datore di lavoro con il consueto meccanismo della compensazione con i contributi dovuti. Il pagamento è effettuato direttamente dall’Inps in alcuni casi specifici (lavoratori stagionali, operai agricoli, lavoratori dello spettacolo saltuari o a termine, lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari, lavoratori disoccupati o sospesi), casi per i quali il lavoratore deve presentare la domanda direttamente all’Inps o tramite un patronato, usando il modello «SR136». In ogni caso, il lavoratore deve dare comunicazione scritta al datore di lavoro, con un preavviso di almeno quindici giorni. Con il decreto del ministero del Lavoro del 22 dicembre 2012 (sulla «Gazzetta Ufficiale» 37 del 13 febbraio 2013) sono state stabilite le modalità per fruire di entrambi i congedi (si veda anche la circolare Inps 40/2013).
Se il congedo obbligatorio è richiesto per il giorno della nascita, la comunicazione preventiva terrà conto della data presunta del parto. In caso di congedo facoltativo, alla richiesta deve essere allegata la dichiarazione della madre di rinuncia al congedo di maternità a lei spettante per un numero di giorni pari a quelli richiesti dal padre. Questa dichiarazione deve essere presentata anche al datore di lavoro della madre, da uno dei due genitori. I congedi possono essere richiesti anche durante il periodo indennizzato per disoccupazione, durante la percezione dell’indennità di mobilità e del trattamento di integrazione salariale a carico della cassa integrazione guadagni. Il trattamento dei congedi prevale rispetto alle altre prestazioni a sostegno del reddito, che non sono, pertanto, cumulabili. In entrambi i casi spettano gli assegni per il nucleo familiare (Anf).
Permessi politici e sindacali
Ai lavoratori dipendenti sono riconosciuti permessi straordinari per una serie di motivi. Oltre alle assenze che sono previste per compiti legati al volontariato, in occasione di tutte le consultazioni elettorali, sia quelle disciplinate da leggi nazionali sia quelle regionali, comprese quindi le elezioni amministrative e quelle europee e i referendum, coloro che svolgono funzioni negli uffici elettorali – presidente del seggio, segretario e scrutatori, rappresentanti di lista e rappresentanti dei promotori del referendum – hanno diritto ad assentarsi dal lavoro per tutto il periodo corrispondente alla durata delle operazioni elettorali. I giorni di assenza dal lavoro durante le operazioni elettorali devono essere equiparati a tutti gli effetti a giorni di attività lavorativa. Un altro tipo di permessi e di periodi di congedo è quello riconosciuto ai lavoratori dipendenti per espletare funzioni sindacali. In questa casistica rientrano sia il diritto di assemblea sia il distacco sindacale. Lo Statuto dei lavoratori prevede inoltre che anche i dipendenti chiamati a funzioni pubbliche elettive possano, a richiesta, essere collocati in aspettativa senza diritto a retribuzione, per tutta la durata del loro mandato.
Il Sole 24 Ore – 4 novembre 2013