In un anno gli incidenti sul lavoro sono aumentati del 17%. La Giornata mondiale della sicurezza fotografa la strage silenziosa delle «morti bianche» in Italia. Da Nord a Sud 1091 infortuni letali: in cima alla graduatoria dell’Osservatorio Vega ci sono Trentino-Alto Adige, Basilicata, Marche, Umbria e Campania. In totale 790 lavoratori sono morti in servizio, 300 mentre si recavano in fabbrica, in reparto, al cantiere o nei campi (+21% rispetto al 2021). Un dato tanto più allarmante perché nel 2022 si sono quasi azzerati i decessi per Covid (da 294 a 10, –97%).
Gli infortuni mortali in un anno sono cresciuti quasi di un quinto. Per i lavoratori stranieri il rischio di restarne vittime è doppio rispetto a quello dei colleghi italiani. Le denunce complessive di infortunio (letale e non) sono aumentate del 26%. I settori più colpiti: sanità, attività manifatturiere e trasporti. Spiega al La Stampa il professore Tito Boeri, ordinario di Economia del lavoro all’Università Bocconi ed ex presidente Inps: «In Italia gli incidenti mortali sul lavoro sono più numerosi che in altri Paesi e questa differenza non si spiega con il più rilevante peso del settore manifatturiero nella nostra struttura dell’occupazione. La differenza rimane anche quando ci si concentra sul solo manifatturiero o sui servizi. Né si spiega col fatto che da noi vengono contabilizzati anche gli incidenti nel transito da casa a lavoro». Prosegue l’economista: «Qualsiasi campagna efficace per abbassare il numero di incidenti sul lavoro non può che basarsi sulla prevenzione attraverso il rafforzamento dell’attività ispettiva». Un gap con l’Ue.
Sotto osservazione «l’efficacia dei controlli sul rispetto delle norme di sicurezza e, più in generale, delle norme sul lavoro». Secondo Boeri, infatti, «le condizioni di lavoro sono peggiori e gli infortuni più frequenti in aziende che operano nel settore informale». Inoltre «quando si ispeziona un’azienda, anche con finalità diverse da quelle del controllo sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, si ottiene un effetto deterrente complessivo sulla regolarità delle condizioni di lavoro». Il problema è che «negli ultimi 10 anni c’è stato un costante calo del numero di ispettori che operano per le principali istituzioni che si occupano a vario titolo di vigilanza». Dunque «va migliorata l’efficacia delle ispezioni indirizzandole verso le aziende dove è più facile riscontrare e porre riparo alle irregolarità». Aggiunge Boeri: «L’esperimento dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro – un’agenzia unica che coordini tutti i corpi ispettivi – è fallito, come da molti previsto data la sua architettura bizantina. Bene prenderne atto al più presto per rilanciare in modo coordinato l’attività ispettiva, fondamentale per curare la piaga delle morti bianche».
Giulia Bartoli, segretaria nazionale Fillea Cgil, richiama l’attenzione sulle ultime modifiche al codice degli appalti: «Cambiare di continuo il quadro normativo aggrava l’incertezza. Così si vanifica la congruità negli appalti, cioè l’obbligo di avere in cantiere un numero di addetti adeguato al valore dell’opera, facendo emergere lavoro nero e appalti illeciti. Adesso, invece, è stato introdotto nel pubblico il “subappalto a cascata” creando una giungla nei controlli. Il non dover più mettere a bando gli appalti fino alla soglia comunitaria apre la porta a corruzione e voto di scambio». Bisogna poi «investire nella formazione per prevenire gli infortuni e fare assunzioni negli ispettorati e nella medicina del lavoro».
Il rapporto Vega rileva una media di oltre 90 vittime al mese. «Nel 2022 sono quasi sparite le vittime Covid (10 su 1090) – evidenzia Mauro Rossato, presidente dell’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro -. Nel 2021, invece costituivano quasi un quarto dei decessi sul lavoro (294 su 1221). Ciò significa che gli infortuni mortali “non Covid” sono cresciuti del +17%. Quindi, passata la pandemia, rimane l’emergenza dell’insicurezza sul lavoro. E sfuggono alle statistiche i decessi nell’economia sommersa e di coloro che non sono assicurati Inail. Servono formazione e aggiornamento dei lavoratori, attuando azioni di efficace controllo preventivo e di sospensione delle attività in aziende che presentano gravi violazioni delle norme antinfortunistiche». Troppi ritardi.
Le denunce totali di infortuni sono cresciute del 25,7% rispetto al 2021, arrivando a quota 697.773 con il settore della Sanità sempre in testa alla graduatoria degli «infortuni in occasione di lavoro» (84.327 denunce). Seguono attività manifatturiere (75.295) e trasporti (53.932). La media in Italia è di 35 decessi ogni milione di occupati. La situazione peggiore si riscontra in Trentino-Alto Adige, Basilicata, Marche, Umbria e Campania. A metà classifica Puglia, Calabria, Sicilia, Piemonte, Toscana e Veneto. Sotto la media nazionale: Liguria, Abruzzo, Lazio, Molise, Emilia Romagna, Lombardia e Sardegna. La regione più virtuosa è il Friuli-Venezia Giulia. Le «morti bianche» di stranieri sono 150, cioè il 19% del totale. 120 le donne vittime.
Il lunedì è il giorno della settimana con il maggior numero di infortuni mortali (19%), seguito dal martedì (18%) e dal venerdì (17%). La Giornata della sicurezza sul lavoro (28 aprile) è stata istituita nel 2003. «Le morti sul lavoro sono inaccettabili in un paese moderno – ammonisce il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella -. Lavorare non può significare rischiare la vita. I numeri sono allarmanti e drammatici, malgrado i provvedimenti adottati per la prevenzione. L’affermazione dei diritti sui luoghi di lavoro, primo quello alla vita, oltre che essere un termometro della vita civile, è un generatore di valore per la società, i lavoratori, le imprese». —
La Stampa