Il fenomeno è curioso, perché l’avvicinarsi del voto smonta alcune delle proposte più roboanti invece di accendere i fuochi d’artificio più spettacolari. Ma è evidente, e dettato probabilmente dall’esigenza di rassicurare le ampie fasce di elettorato che non si sono appassionate alle super-promesse dell’avvio. Fatto sta che il centro-destra chiarisce di non voler azzerare il Jobs Act, Berlusconi nega l’«azzeramento della legge Fornero» scritto poche settimane fa nel programma comune, e le ipotesi di addio all’Euro sono uscite dai discorsi di Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Il Partito democratico, dal canto suo, ha tirato in anticipo il freno, e nel programma discusso da Matteo Renzi con il ministro dell’Economia Padoan e il premier Gentiloni ha evitato di avviare il «ritorno a Maastricht» a suon di deficit vicini al 3 per cento.
La certificazione di questa «svolta», certo parziale perché l’incrocio fra tagli fiscali e obiettivi di riduzione del debito rimane più che problematico, si è avuta nelle risposte ufficiali al «progetto Paese» lanciato dalle imprese alle Assise generali di Confindustria di Verona (si veda Il Sole 24 Ore del 18 febbraio). La parola d’ordine del rilancio degli investimenti, pubblici e privati, è stata raccolta praticamente da tutti i partiti. Scontata l’adesione del Pd, che rivendica i risultati di Industria 4.0 sul versante privato e con Padoan sottolinea da tempo il ruolo che la spesa pubblica in conto capitale potrebbe giocare nel consolidamento della crescita (ieri il presidente del consiglio Paolo Gentiloni ha ricordato che è in arrivo il decreto di Palazzo Chigi con l’assegnazione dei 36 miliardi del fondo investimenti da qui al 2033). Ma anche il Movimento 5 Stelle spiega di guardare con favore a Eurobond e golden rule (etichetta che accompagna diversi meccanismi di esclusione della spesa in conto capitale dai vincoli Ue), e Matteo Salvini sottolinea l’esigenza di allargare il raggio d’azione del fisco pro-investimenti alla base del pacchetto Industria 4.0.
Ma sono i capitoli su lavoro e pensioni a ospitare le “evoluzioni” più marcate. «Non tutto il Jobs Act va cancellato», ha spiegato per esempio Matteo Salvini chiedendo la reintroduzione dei voucher che con la loro uscita di scena hanno riportato in nero molte forme di lavoro occasionale, e «anche Industria 4.0 è in parte condivisibile, e va ampliato coinvolgendo di più le piccole e medie imprese». Certo, a Via Bellerio di ipotesi di mantenimento della riforma previdenziale «non se ne parla», ma la proposta di «quota 100» e pensionamenti con 41 anni di anzianità pare ammorbidire almeno in parte le ipotesi iniziali di ritorno alla situazione pre-Fornero (quota 98 e 40 anni). Sono però molto diversi gli accenti in Forza Italia, dove Belusconi rilancia sui tagli fiscali pro-assunzioni e propone una decontribuzione fino a sei anni per i nuovi ingressi di giovani. E anche l’idea di «nuovi strumenti per accompagnare la quarta rivoluzione industriale» getta ponti importanti con le misure di Industria 4.0.
Certo, i ripensamenti non sfiorano la questione del debito pubblico, la cui riduzione rimane appesa a speranzose ambizioni di crescita e a coperture che per i tagli fiscali più potenti restano quantomeno teoriche. Ma sul punto sarà presto la realtà dei conti, e il rischio di manovra correttiva appena evocato dall’Upb (e respinto dall’Economia), a rimettere in fila i numeri reali.
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 20 febbraio 2018