Un po’ c’è rimasto male. «Scandalo? Quale scandalo? È tutto in regola, tutto secondo la legge», per il presidente di Codess, coop sociale patavina che si occupa di servizi sanitari, assistenziali ed educativi, come, ad esempio, la gestione di cinquanta asili nido in tutta Italia. Però, quei 4mila euro richiesti dalla coop ai soci, per iniziare il rapporto di lavoro, possono sembrare una cifra un po’ esagerata; soprattutto in rapporto a retribuzioni medio-basse.
L’affaire è nato con l’inchiesta del Corriere.it di Giorgio Mottola: un’educatrice di Modena, Chiara Pacchiani, ha raccontato di aver «dovuto pagare per lavorare»; ed emerge il sospetto che il «tesoretto» possa essere utilizzato, indirettamente, per accaparrarsi gli appalti.
Ma il presidente non ci sta. Per Alberto Ruggeri, infatti, le cose stanno così: «È vero che la quota sociale ammonta a tremila euro, e che quella di ammissione a mille; ma non tutti i lavoratori sono soci. E poi, quanto alla prima somma, viene restituita alla fine del rapporto di lavoro; e nel frattempo produce interessi, pari a circa il 5%». Una specie di investimento. «In effetti». E i mille euro? «Quelli non vengono restituiti».
Su che fine facciano quei soldi, il presidente della cooperativa assicura: «In realtà, il denaro non serve per accaparrare gli appalti: noi non facciamo gare al ribasso. Piuttosto, poiché finisce nel patrimonio della cooperativa, è una sorta di garanzia: le banche concedono prestiti più volentieri, se sanno che sei adeguatamente patrimonializzato. Così va il mondo».
I risultati, dice, gli danno ragione: «D’altra parte, Codess occupa 3.102 lavoratori, di cui 2.541 soci: 561 sono dipendenti non soci. E abbiamo assunto anche dopo il 2007, con la crisi. Senza quote sociali, gli istituti di credito non avrebbero aperto il portafoglio, e le cose sarebbero andate diversamente. Insomma, è stato grazie all’impegno ed al sacrificio storico dei suoi soci che Codess è potuta diventare un’impresa grande e sana».
Dalla video-inchiesta che è visibile sul Corriere.it risulta che le retribuzioni siano piuttosto basse, dai 600 ai 1.200 euro. «Anche questo non è vero – continua Ruggeri – alla fine, noi applichiamo il contratto nazionale di settore. Ci sono part-time che percepiscono 600 euro; ma come in tutti i comparti. E poi, noi garantiamo ai soci puntualità nel pagamento degli stipendi, remunerazione della quota sociale, assistenza sanitaria integrativa».
Adriano Rizzi, presidente di Legacoop Veneto (di cui Codess fa parte) la mette così: «Le cooperative sociali hanno, nella pratica, un solo costo: le retribuzioni di chi ci lavora. Una spesa fissa, mentre i committenti sono per lo più enti pubblici che pagano quando pagano, anche dopo diversi mesi. Dunque occorre riferirsi alla banche, che però non ti danno niente se il patrimonio è scarso».
Dunque Codess non è un caso isolato. «Niente affatto – ammette Rizzi – la “capitalizzazione interna”, oltre che legittima, è diffusa tra questo genere di società; anche se l’entità degli importi varia a seconda delle dimensioni della cooperativa e non viene quasi mai richiesto un pagamento in una sola rata».
Chi non è del tutto convinto, è Giovanni Gallo della Fisascat Cisl. «Per carità – afferma il sindacalista – è una situazione generalizzata. E ogni cooperativa ha un proprio regolamento interno. Tutto secondo la legge. Però, questi contributi costituiscono comunque un forte handicap per il lavoratore. E poi, mi pare che si stia cavalcando troppo l’onda della crisi. Dare lavoro non è un atto di carità; almeno, non dovrebbe essere così. Insomma, penso che qualcuno ci stia marciando un po’ troppo».
Marco de’ Francesco – Il Corriere del Veneto – 2 settembre2014