Si chiama Blue tongue il nuovo spauracchio degli allevatori. E una malattia infettiva – è nota appunto come lingua blu e colpisce gli ovicaprini, quindi pecore e capre, e i bovini – che in queste settimane si è manifestata in varie province venete facendo scattare l’allarme in tutta la regione, anche se a Verona al momento non se ne sono verificati. «Ad oggi», spiega Fabrizio Cestaro, responsabile servizio veterinario dell’Ulss 20 «sono emersi nel Nord Italia una cinquantina di focolai; in Veneto ci sono stati casi di contagio dapprima nelle provincie di Belluno e Treviso e recentemente anche a Vicenza, in tutto 72».
Una situazione che, per quanto riguarda il Veronese, significa l’attuazione di controlli speciali. «Qui da anni applichiamo un piano di monitoraggio che è stato predisposto dalla Regione e dal Ministero che sinora ci ha permesso di riscontrare un solo focolaio, ancora nel 2007, che è stato circoscritto usando il vaccino. Adesso, però, considerato che sia nel Vicentino che in provincia di Trento sono state stabilite delle zone di restrizione a causa della presenza della malattia, dovremo attuare ulteriori verifiche specifiche sugli animali che stanno per tornare dagli alpeggi». Il problema, insomma, è quello di evitare che ci sia la trasmissione del virus da animali contagiati che arrivano dall’esterno a quelli sani che vivono qui.
La Blue tongue, d’altro canto, si diffonde perché trasportata dalle zanzare e può provocare mortalità superiori al 10 per cento, soprattutto negli ovicaprini. «Solitamente i bovini fungono solo da serbatoio del virus», precisa Cestaro, «ma attualmente ci sono stati casi in cui hanno evidenziato sintomi rilevanti». Una situazione che si teme specialmente nel Veronese dove ci sono aree, in particolare la Lessinia, il Villafranchese e il Colognese, che hanno un’alta concentrazione di allevamenti. Gli animali importati da altri Stati qui arrivano solo se sicuri o vaccinati, ma adesso si tratterà di controllare anche tutti quelli che gli allevatori veronesi hanno trasferito nei mesi estivi in quei monti dove si sono verificati casi di contagio.
«Un’operazione», conclude il veterinario, «che è necessaria per poter tenere libero dal virus il Veronese». Tutto questo con la speranza che arrivi il vaccino, che in Veneto ancora non c’è.
Dall’Arena – 29 settembre 2016