Sul valore legale dei titoli di studio il Cdm si è incagliato per due oree. Con una discussione accesa, una spaccatura netta e anche un giallo sulla norma realmente approvata
Sceglie il consueto linguaggio minimale, Mario Monti: «Se ne discute da tempo, è del 1947 lo scritto di Luigi Einaudi “Vanità dei titoli di studio”. In linea di principio io sono favorevole ma abbiamo scoperto che è un tema molto più complicato di quanto possa sembrare». Talmente complicato che sul valore legale dei titoli di studio il consiglio dei ministri si è incagliato per due ore buone. Con una discussione accesa, una spaccatura netta e anche un giallo sulla norma realmente approvata.
Nel testo che entra in consiglio dei ministri c’è la versione soft che riguarda solo il punteggio nei concorsi pubblici. L’articolo 8 parla di «equiparazione dei titoli di studio e professionali» e di «equivalenza fra i titoli accademici». È la norma di cui si è parlato in questi giorni, quella che azzera il peso del voto di laurea nelle selezioni e che già aveva fatto venire a galla qualche perplessità. Ma poi c’è il colpo di scena. Il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo ha nella borsa un articolo aggiuntivo. Ed è molto più forte. In sostanza dice che la laurea triennale vale come quella di chi ha finito tutto il percorso del 3 + 2 studiando cinque anni, che per la maggior parte dei concorsi non si può pretendere una laurea specifica ma che un titolo vale l’altro. E che potenzia il meccanismo dell’accreditamento: alla fine le lauree non avrebbero più tutte lo stesso valore ma un peso diverso a seconda del giudizio dato per ogni singolo corso dall’Anvur, l’agenzia di valutazione dell’università. Ed è qui che la discussione si accende.
Il più netto è Filippo Patroni Griffi, il ministro della Funzione pubblica e quindi anche dei concorsi pubblici: «Scusate, ma quale segnale diamo ai nostri studenti? Gli diciamo che è inutile studiare perché se prendono 70 o 110 e lode è la stessa cosa e che alla fine la laurea non vale niente?». Profumo prova a spiegare che ci sono lauree e lauree, che in alcuni casi è troppo facile rimediare un pezzo di carta per guadagnare senza sforzo un avanzamento di carriera. Ma adesso a parlare è il responsabile dell’Interno, Annamaria Cancellieri: «Non dimentichiamo che la laurea ha un significato anche culturale per le famiglie italiane. Siete proprio sicuri?». Il ministro della Giustizia Paola Severino è a Copenaghen per un vertice europeo. Ma si informa al telefono e fa arrivare a Roma le sue perplessità come aveva già nei giorni scorsi.
Alla fine Profumo evita lo scontro, decide di rimettere nel cassetto il suo articolo aggiuntivo. Anche perché c’è chi fa notare che gli studenti sono pronti a mobilitarsi e — dopo i forconi, i tir e i pescatori — sarebbe meglio evitare un’altra protesta di piazza. C’è spazio per parlare della soppressione dell’Agenzia per il terzo settore, ipotesi subito stoppata dal ministro dei Beni culturali Lorenzo Ornaghi. Poi è lo stesso Monti a dire che sull’abolizione del valore legale dei titoli di studio il governo aprirà una «consultazione pubblica», una specie di referendum ragionato da fare via internet. «Una scelta saggia» commenterà poi il presidente della conferenza dei rettori Marco Mancini, dando voce ai dubbi espressi sulla riforma da buona parte del mondo accademico. Ma poi c’è il giallo. Se la versione forte viene accantonata cosa succede a quella soft? Nel dettagliato comunicato finale non c’è traccia ma alcune fonti del governo sostengono che sia stato approvato, altre no. Forse un errore tecnico o una svista, forse no. Anche stavolta si attende il testo ufficiale.
Corriere della Sera – 28 gennaio 2012