Il 44 per cento dei giovani con un elevato titolo di studi si dice disponibile a lasciare l’Italia. Otto punti percentuali in più di quattro anni fa. Sono sempre più convinti di non avere reali chance nel nostro Paese. Il valore del voto di laurea, la regolarità degli studi e l’età alla laurea nell’indagine di AlmaLaurea che ha coinvolto 215mila giovani
Sempre più disponibili a lavorare all’estero. I laureati del nostro Paese sono lontani dagli stereotipi con cui molti, anche i decisori, continuano a rappresentarli. Più regolari negli studi, più presenti alle lezioni e con più esperienze di stage e tirocini, sono pronti a assumersi le proprie responsabilità e a cercare le opportunità là dove vengono offerte. Negli ultimi quattro anni, caratterizzati da una crisi interminabile, la percentuale dei ragazzi pronti a lasciare l’Italia è salita fino al 44 per cento. Una crescita di otto punti percentuali. E questo in un contesto in cui la disoccupazione giovanile è passata dal 22,8 per cento della fine del 2008 al 35,9 per cento di marzo di quest’anno.
Elemento chiave di ogni sviluppo, i giovani laureati, l’istruzione come strumento di mobilità sociale e la questione della valutazione degli atenei, sono gli oggetti di studio della nuova indagine di AlmaLaurea che ha coinvolto 215mila laureati.
QUALE SCELTA UNIVERSITARIA? 1
Tra tempismo e presenze. Dal rapporto emerge come continui a crescere la quota dei giovani che concludono gli studi nei tempi previsti, così come quella di coloro che frequentano le lezioni e partecipano a esperienze di stage e tirocini durante gli studi. Il 68 per cento dei laureati del 2011 ha frequentato le lezioni e in media ha concluso le tesi in 5,7 mesi, mentre sette anni fa ne erano serviti molti di più (8,4 mesi).
All’ambito traguardo i laureati sono sono arrivati con un’età media di 26,9 anni. Nel 2004, l’anno precedente le ultime riforme, avevano quasi un anno in più (27,8 anni). Ma la differenza con allora è ancor più ampia di quanto sembri. La diversificazione dell’offerta formativa generata dalla riforma ha in qualche modo determinato anche un ritardo all’immatricolazione valutabile in un paio di anni (vedi tabella 2). Così, al netto di questo ritardo, l’età alla laurea media è pari a 24,9 anni. L’evoluzione viene confermata anche dal fatto che ora il 17 per cento dei laureati ha meno di 23 anni e solo il 45 per cento arriva con un ritardo alla laurea (era il 65 per cento nel 2004).
I tirocini durante gli studi e il lavoro. Dal 2004 e oggi, è quasi triplicata la quota dei laureati che hanno avuto modo di fare degli stage. Nel 2011 il 55 per cento dei ragazzi usciti da un ateneo italiano ha partecipato a un percorso di tirocinio formativo durante gli studi. Prima delle riforme, avevano avuto un’occasione simile solo il 20 per cento dei laureati. Un’evoluzione che dovrebbe avere degli effetti positivi se è vero che, come dicono gli autori dell’indagine, il tirocinio aumenta la probabilità di trovare un’occupazione del 13,6 per cento.
I ragazzi italiani si ritrovano a dover fare i conti con un complesso scenario economico ma sembrano sempre più pronti a sacrifici pur di poter avere un’occasione. Sono sempre più disponibili a effettuare trasferte frequenti di lavoro (32 per cento) e a cambiare residenza (il 41 per cento). Solo il 3,6 per cento dei laureati, per lavoro, preferirebbe non fare trasferte.
La diminuita motivazione. In questi ultimi anni però è aumentata la quota dei laureati “poco motivati”: sono passati dal 10 per cento del 2007 al 14 per cento del 2011. Non certo una buona notizia visto che le motivazioni nella scelta del corso di laurea influenzano la riuscita universitaria sia in termini di voto d’esame, che di ritardo alla laurea. Allo stesso tempo, negli ultimi otto anni le immatricolazioni si sono ridotte del 15 per cento confermando il ridotto interesse per gli studi universitari di questa fascia di popolazione giovanile. Fenomeno che rende ancora più difficile raggiungere l’obiettivo europeo di avere laureata il 40 per cento della popolazione di età tra 30 e 34 anni (siamo fermi al 20 per cento).
I mille profili. Dal rapporto emerge chiaramente che, al di là dei valori medi dell’universo complessivo utili per un confronto con gli anni del pre-riforma, ci si trova davanti, più che a un unico profilo di laureato, a una molteplicità di figure. Ciascuno di queste caratterizzate da specificità proprie che vanno dall’ambito familiare di origine all’area geografica di provenienza. Dalla facoltà di iscrizione al dinamismo del mercato del lavoro locale.
Classi sociali e mobilità. I laureati della triennale provengono da classi sociali meno favorite, tendono a studiare sotto casa, forse anche per effetto della moltiplicazione dei corsi universitari, e raggiungono il traguardo a 24 anni. Tra i laureati specialistici, biennali e a ciclo unico, si riscontra invece una maggiore selezione sociale: sono giovani più avvantaggiati socialmente e culturalmente, più disponibili alla mobilità tra sedi universitarie, sono quelli con più esperienze di studi all’estero nel curriculum.
Professioni sanitarie vs. giuridiche. Anche all’interno dei singoli gruppi ci sono elevate differenze. Tra i laureati triennali, ad esempio, concludono in tempo il ciclo di studi il 65 per cento dei laureati delle professioni sanitarie su cento. Più bassa la quota (36-40 per cento) nei percorsi psicologico, educazione fisica, economico-statistico e scientifico. All’estremo opposto, riescono a restare in corso solo 15 laureati su cento del gruppo giuridico e a 29 su cento di quello in architettura.
Se si analizza nel dettaglio il dato medio dei tirocini dei laureati della specialistica, si scopre che coinvolge, come prevedibile, quasi otto su dieci dei giovani che escono da corsi legati al gruppo di studio dell’area medica e delle professioni sanitarie mentre nel gruppo giuridico si arriva a mala pena al 14 per cento.
Analisi e dettagli. Per questo, Andrea Cammelli, direttore di AlmaLaurea, ha sottolineato come sia necessario “spingere l’analisi al di là del dato aggregato di sintesi, mettendo in evidenza l’estrema variabilità che caratterizza i diversi aspetti indagati e distinguendo le offerte formative che si sono tradotte in risultati positivi da quelle in evidente stato di sofferenza, la capacità di valorizzare eccellenze ma anche quella di considerare i diversi punti di partenza apprezzando il valore aggiunto prodotto”.
Investimenti e interazione università mondo produttivo. Da qui, il direttore di AlmaLaurea ha provato a indicare le linee da seguire a fronte della crisi: “E’ necessario investire in istruzione di alto livello, consolidare il processo di riforma del sistema universitario, incoraggiare i giovani a investire in formazione, promuovere la cultura della valutazione, migliorare l’interazione fra università e mondo della produzione, ridefinire l’offerta formativa per chi è già stabilmente inserito nel mercato del lavoro, costituiscano priorità irrinunciabili per il futuro del Paese”.
Repubblica.it – 22 maggio 2011