L’Economia, Il corriere della Sera. Essere la prima multinazionale europea di un bene primario come il latte in un momento in cui una guerra divampa nel cuore dell’Europa stessa, significa avere un ruolo importante di vision e di leadership del settore. Lo sa bene Giovanni Pomella, primo italiano alla guida di Lactalis e profondo conoscitore del comparto agroalimentare. «Il conflitto nel Centro Europa, oltre a tutte le implicazioni umanitarie – afferma Pomella – aggrava due questioni importanti: export e approvvigionamento energetico. Sul fronte export la Russia per noi era già un mercato chiuso con le sanzioni del 2014, in Ucraina invece abbiamo tre stabilimenti in tre città diverse e 850 lavoratori. Rappresenta uno dei mercati più importanti per l’export di tutti i prodotti italiani. In questo momento stiamo predisponendo un piano di sostegno all’Ucraina sia con prodotti Galbani e Parmalat, sia con altri tipi di aiuto».
L’energia
Resta il tema energetico nell’immediato, ma soprattutto a lungo termine viste le ripercussioni che questo conflitto avrà anche nel campo della fornitura di energia. «Da tempo stiamo lavorando per diminuire i nostri consumi di gas ed energia elettrica – ricorda il ceo di Lactalis Italia –. Abbiamo realizzato impianti fotovoltaici e di trigenerazione che ridurranno i nostri consumi. Tre esempi fra tutti: nel 2021 la fabbrica simbolo di Parmalat a Collecchio (Parma) ha raggiunto un’autosufficienza energetica del 94%, mentre gli impianti Galbani di Corteolona (Pavia) e Casale Cremasco (Cremona) rispettivamente del 90% e del 92%, con conseguenti benefici anche in termini di riduzione di emissioni di CO2. Questo mix di autoproduzione e investimenti in energie rinnovabili ci ha permesso, negli ultimi anni, di ridurre del 16% l’energia elettrica acquistata e di aumentare di oltre il 40% la produzione da fonti alternative ma non possiamo pensare che la crisi energetica non avrà un impatto anche sul nostro business. Ovviamente, nel caso di una prolungata situazione bellica, bisognerà anche allestire un piano di disponibilità del prodotto per l’approvvigionamento perché non bisogna dimenticare che in Italia, purtroppo, la maggior parte della logistica si muove con il trasporto su gomma».
Intanto però la realtà quotidiana parla di un mercato in risveglio dopo i colpi della pandemia e anche la filiera lattiero casearia ne sta rielaborando le conseguenze: esiste una spinta verso un localismo più forte e una più forte attenzione al made in Italy da parte dei consumatori. «La nostra italianità è evidente se si guarda all’impatto che abbiamo sul paese: siamo presenti con 30 stabilimenti in 10 regioni e questo per noi significa essere ancora più responsabili in ogni attività lungo tutta la filiera. Siamo il primo gruppo per numero di collaboratori del settore lattiero-caseario e il 4° in tutto l’agroalimentare con un impatto complessivo di 19.030 occupati fra lavoratori diretti, indiretti e indotto. In Italia arriviamo in più comuni delle Poste».
Una presenza e una capacità produttiva che si proietta sull’intera filiera lattiero casearia che, è bene ricordarlo, rappresenta la voce più importante nell’agroalimentare italiano. «Lactalis è il primo acquirente della filiera del latte italiana (1.4 miliardi di litri all’anno) – ricorda Pomella – il primo produttore di formaggi e formaggi dop (20% del totale nazionale) e abbiamo una rete di circa 1.500 conferenti: il 74% di loro è situato entro 25 km dagli stabilimenti e il 95% opera entro i 50 km. Nel complesso, il nostro ecosistema di filiera è composto da oltre 6mila aziende su tutto il territorio nazionale, il 55% delle quali è fatto di Pmi . Il nostro impegno è pertanto fortemente orientato in due direzioni: dare valore al localismo e contribuire ad esportare nel mondo il meglio della tradizione lattiero-casearia italiana».
Burocrazia
Una filiera che però da anni lamenta ritardi e inadeguatezze: dal costo di produzione alla logistica, dall’innovazione alle normative vigenti. «Quest’ultima è la voce determinante — sottolinea il ceo di Lactalis —. Il nostro settore è regolato da norme degli anni Settanta: la data di scadenza, le regole di produzione (basti pensare che l’impiego del latte in polvere è disciplinato da una norma del ‘74). C’è bisogno di riprendere in mano le discipline normative come hanno fatto altri paesi europei per adeguarle ai tempi. C’è un tema di burocrazia asfissiante per il mondo agricolo e quello industriale che frena innovazione di prodotto e di processo». Infine ci sarà da capire la reazione dei consumatori a due eventi epocali come una pandemia e una guerra: la grande distribuzione organizzata continua a promettere sconti e prezzi bloccati. Possibile? «Non credo — ammette Pomella — a meno di non rischiare il default di aziende agricole e di trasformazione. Comprimere l’inflazione è possibile sul breve ma questo è uno scenario di lungo periodo. I costi vanno scaricati e non possono ricadere solo sulla produzione. Bisognerà accettare un’oscillazione dei prezzi. Anche perché, finora, le misure per contenere i costi rappresentano una goccia in un oceano».