Il litro di latte nel carrello è ormai diventato il simbolo del caro-prezzi, il metro di misura più efficace dell’inflazione al galoppo nel Paese. Lo è diventato soprattutto da inizio settembre, quando i due principali produttori in Italia, Granarolo e Lactalis, hanno annunciato che entro la fine anno il prezzo supererà la soglia psicologica dei due euro al litro. Stando ai monitoraggi del Codacons, a settembre un litro di latte Uht costava il 19% in più dell’anno precedente, un rincaro ben più alto dell’inflazione. «Sono soprattutto i consumatori finali a pagare il prezzo più alto di queste politiche speculative – ha detto il presidente del Codacons, Marco Donzelli – in una situazione in cui già migliaia di persone in tutta Italia stanno tirando il più possibile la cinghia per riuscire ad arrivare a fine mese, mentre il numero di persone in povertà aumenta giorno dopo giorno. Per questo motivo abbiamo chiesto l’intervento delle autorità e l’individuazione dei responsabili dei comportamenti illeciti».
Chi se ne sta approfittando? Gli allevatori sostengono di essere, al pari dei consumatori, l’altro anello debole della catena che va dal campo alla tavola. Secondo gli ultimi dati dell’Ismea, il lattiero caseario è uno dei comparti più esposti all’impennata dei costi: nei primi nove mesi dell’anno l’energia elettrica è rincarata del 275%, il gas del 286%; il mais per l’alimentazione del bestiame del 41%, il fieno di erba medica del 57%. Per un allevamento medio-grande della Lombardia (tra i 100 e i 250 capi) produrre 100 litri di latte costa oggi quasi 51 euro, contro i 47 euro di un anno fa. In compenso, ad agosto e a settembre la remunerazione del prodotto alla stalla era di 55 euro: con un guadagno così contenuto, dicono gli allevatori, la speculazione va cercata altrove. A sua volta, però, anche l’industria della trasformazione rifiuta le accuse: «È un periodo difficilissimo per tantissime aziende del nostro settore, alle prese con dirompenti aumenti dei loro costi», sostiene il presidente di Assolatte, Paolo Zanetti. Se è vero, com’è vero, che negli ultimi dodici mesi il latte alla stalla è aumentato del 48% e addirittura del 60% negli ultimi due anni, con i contratti che prevedono ulteriori incrementi per la fine dell’anno, «è vero anche – ricorda Zanetti – che da mesi i trasformatori stanno facendo i conti con gli aumenti di tutti gli altri fattori di produzione: i costi energetici sono altissimi, il prezzo di cartoni, plastiche e imballaggi è cresciuto di valori compresi tra il 70 e l’80%, i pallet del 58%». Per molti mesi le aziende si sono fatte carico di tutti gli extra costi, trasferendone a valle una solo piccola parte: «Ora – dice Zanetti – stiamo semplicemente ottenendo gli aumenti che più che legittimamente abbiamo chiesto mesi fa. Ma gli aumenti complessivi che ci siamo caricati sulle spalle sono di gran lunga superiori a quelli certificati dal tasso di inflazione del settore. Senza dimenticare che la spirale dei costi non è ancora terminata: gli aumenti chiesti la scorsa estate non coprono già più i nuovi costi che stiamo sopportando».