Il consumo di latte crudo, non pastorizzato, va scoraggiato perché, a fronte di benefici tutti da dimostrare, vi sono rischi seri, a volte mortali. Non lascia spazio al dubbio la conclusione di uno studio commissionato dalle autorità dello stato del Maryland (USA) ai ricercatori del Center for a Livable Future della Johns Hopkins University di Baltimora in seguito alla richiesta, giunta da alcune associazioni di consumatori, di abolire una legge locale che vieta la vendita, appunto, di latte crudo anche nelle fattorie.
Gli autori hanno voluto basarsi su quanto emerso finora a livello scientifico, e hanno analizzato più di mille articoli, trovandone un’ottantina incentrati specificamente sui rischi del consumo di latte non pastorizzato. I numeri sono stati più che espliciti: chi consuma latte crudo ha un rischio di contrarre un’infezione alimentare anche grave che è fino a cento volte superiore a quello che si riscontra in chi beve latte pastorizzato sottoposto al calore e confezionato in condizioni sterili. In particolare, si rischia di contrarre soprattutto infezioni da Listeria, Campylobacter, Salmonella ed Escherichia coli O157:H7, con effetti che vanno dai sintomi addominali fino allo scompenso renale e alla morte.
D’altro canto – scrivono gli autori – i decantati benefici del latte non pastorizzato (maggior presenza di anticorpi, di proteine, enzimi e sostanze nutritive) che comporterebbero l’induzione di meno intolleranze al lattosio e allergie, e conferirebbero un gusto migliore sono tutt’altro che dimostrata.
La raccomandazione non può dunque che essere contraria all’abolizione del divieto di vendita e al consumo di latte non pastorizzato, in particolare per tutte le persone che possono avere un indebolimento delle difese immunitarie come gli anziani, i bambini, le donne in gravidanza, almeno fino a quando i benefici non saranno dimostrati e si riveleranno superiori ai rischi certi.
Agnese Codignola – Il Fatto alimentare – 21 aprile 2014