L’allevamento di Giuseppe Chiarelli, sottoposto a vincolo sanitario in contrada Orofino nella periferia di Massafra, per la presenza di un valore di diossine e pcb superiore al doppio del limite consentito, è una vera e propria nicchia naturale. Gli animali, 55 esemplari bovini, circolano infatti liberamente sul terreno protetto da alberi di pino ma senza pascolare perchè nutriti con specifico foraggio. Un contesto invidiato dagli altri allevatori della zona. In breve, un ambiente quasi bucolico. A descrivere così la situazione ottimale dell’azienda zootecnica è il dirigente dei Servizi veterinari dell’Asl, Teodoro Ripa, lo stesso che a settembre dello scorso anno – leggendo i risultati dei rapporti di prova inviati dall’istituto zooprofilattico di Teramo che aveva analizzato i campioni di latte raccolti ad aprile – ha dovuto firmare l’ordinanza con cui si mettevano i sigilli all’azienda.
Poi a dicembre l’Arpa, aggiungendo ai dati dell’Asl anche i dati delle proprie indagini sulle matrici ambientali, ha inviato tutto alla Procura della Repubblica. Fatto sta che da settembre i veterinari, da parte loro, stanno facendo una serie di congetture.
Tenuto conto che l’allevamento era stato già in passato sottoposto ai controlli di routine previsti nell’ambito del piano straordinario di monitoraggio delle diossine sugli allevamenti posti a distanza di un raggio di venti chilometri dell’Ilva, com’è possibile che i valori siano schizzati così in alto? Come mai la situazione varia da capo a capo? E, per lo stesso capo, da periodo a periodo? Da considerare, inoltre, che il foraggio utilizzato per la nutrizione del bestiame è risultato immune da questo problema. E’ così anche per le matrici ambientali – l’acqua proveniente dalle falde, il terreno – nonostante la vicinanza dell’inceneritore dell’Appia Energy (che peraltro presentato istanza di Via-Aia per la realizzazione della seconda linea della centrale termoelettrica) e della discarica della Cisa. L’Ilva, invece, dista circa 10 chilometri dalla zona.
«Gli ultimi esiti ci sono giunti una quindicina di giorni fa. La prossima settimana effettueremo dei nuovi prelievi per i quali chiederemo la procedura d’urgenza all’Istituto zooprofilattico – dice Ripa -. Intendo verificare un’ipotesi legata alla fisiopatologia delle lattifere. Abbiamo infatti riscontrato che, in prossimità del parto, il latte presenta una concentrazione maggiore di inquinanti. E’ possibile, dunque, che nei primi mesi della lattazione, la mucca attinga maggiormente a riserve corporee di grassi aumentando quindi il metabolismo adiposo. Allontandosi, invece, dal periodo del parto, i meccanismi metabolici sono altri, per cui, di fatto, diminuisce anche il rischio di ritrovare livelli di diossina superiori al limite di legge». Inoltre andranno intensificate le indagini per capire quali siano le reali fonti di inquinamento.
«Gli inquinanti ritrovati nel latte prodotto da queste mucche sono più pcb (policlorobifenili) che diossine – dice Ripa -. Questo sta portando i tecnici a considerare come meno rilevante la responsabilità delle emissioni dell’Ilva dove, invece sono più presenti le diossine. I pcb potrebbero essere più compatibili, invece, con le emissioni degli altri impianti industriali presenti in zona». Impianti che sarebbero peraltro più vicini – a distanza di 3-4 chilometri – dall’allevamento sotto sequestro rispetto agli altri allevamenti nella zona. Negli altri allevamenti limitrofi, invece, i valori delle analisi eseguite sui campionamenti effettuati sono risultati sempre al di sotto della soglia di azione, il cui superamento fa scattare controlli non due volte ma quattro volte all’anno.
«Io sono il primo a volere il benessere di tutta la collettività. Ma questa tegola, caduta direttamente in testa a me e alla mia famiglia, presenta davvero tanti aspetti che necessitano di spiegazioni certe ed univoche sulla sussistenza, sulla gravità, sulle cause e sui rimedi. Siamo afflitti e prostrati, allo stremo delle forze. E speriamo di non essere lasciati soli». Giuseppe Chiarelli, titolare dell’allevamento di bovini di contrada Orofino, finita sotto vincolo sanitario per la diossina trovata nel latte, offre alla Gazzetta la sua versione dei fatti, spiegando, con l’avvocato Antonio Ciaurro, i passi che intende compiere per fare chiarezza sulla vicenda e tutelare i suoi interessi. Ubicata a mille metri dal centro abitato, a un chilometro e mezzo dall’inceneritore dell’Appia Energy e a dieci dall’Ilva e dalla zona industriale di Taranto, l’azienda agricola è stata spesso sottoposta a controlli.
«Solo nel settembre 2013 si è registrato un dato anomalo, con il rinvenimento di un valore pari a 11.72 picogrammi per grammo di grasso di diossina e Pcb diossina simili nel latte, quindi oltre la soglia consentita di 5,5. Immediatamente abbiamo interrotto, come sono tutt’ora interrotti, la fornitura di nostri prodotti al circuito commerciale e distributivo».
Il successivo monitoraggio compiuto dall’Asl di Taranto ha fatto registrare valori altalenanti riguardo alla presenza di diossina nel latte. Mentre nessun tipo di tossicità è stato riscontrato sulle componenti alimentari dell’allevamento, come acqua, mangimi e foraggio, oltre che sui relativi fattori ambientali, come il suolo.
La Gazzetta del Mezzogiorno – 13 gennaio 2014