«Questo Paese ha speso 18 miliardi per permettere al presidente del Consiglio di dire che ha qualche centinaia di migliaia di posti di lavoro in più». Non sono pochi (i posti di lavoro): Susanna Camusso dovrebbe apprezzare. È la segretaria della Cgil, la creazione e la crescita dell’occupazione stanno quasi per statuto tra le priorità di un leader sindacale. Il problema è che, dopo aver passato gli anni della Grande crisi a chiedere ai vari esecutivi di investire per frenare proprio l’emorragia occupazionale, oggi non può applaudire all’inversione di tendenza perché — dice — «c’è una sproporzione tra le risorse impiegate e i risultati che il governo accredita a sé».
Camusso non nomina nemmeno per sbaglio Matteo Renzi. Forse però la distanza che separa lei e il premier non è mai stata tanto evidente quanto qui, ora, sul palco bolognese della Biennale dell’economia cooperativa. Si sta parlando di lavoro, di giovani, di futuro. Il socio-politologo Ilvo Diamanti ha appena lanciato una serie di provocazioni (concretissime) che hanno scatenato applausi. Una riguarda tutti, e si chiama tappo social-generazionale: «Il 70% degli italiani ritiene che per avere un futuro i giovani se ne debbano andare. Hanno una sola altra possibilità: far fuori noi, i padri». L’altra, punta al cuore dei sindacati: «Concentrati attorno ai propri vertici hanno perso, come i partiti, il contatto con la società».
Diamanti la chiama «leaderizzazione» e, poco dopo, il numero uno di Unipol Carlo Cimbri allargherà il tema all’Europa: a sua volta così lontana dagli europei, così concentrata sulla propria burocrazia, così incapace di «visione» da non capire che «se alla politica monetaria non si affianca un’armonizzazione delle politiche fiscali, degli investimenti e del lavoro gli effetti saranno devastanti». Camusso condividerà. Intanto è però il sasso gettato da Diamanti a monopolizzare l’attenzione in sala. Lei lo schiva, si aggancia al nodo giovani-futuro, sposta il tiro. Va su Palazzo Chigi.
Sul Jobs act, sulla legge delega sul lavoro. Boccia tutto di nuovo. Certo, 18 miliardi sono una cifra enorme: «Ma non sono stati spesi in progetti specifici per creare lavoro». Vero, i posti creati non sono briciole: «Ma hanno spostato solo dello 0,1% il tasso di disoccupazione. E ne ha beneficiato prevalentemente la fascia over 50, mentre la condizione dei giovani è spesso peggiorata: sono passati dai contratti atipici ai voucher, all’inseguimento di un buono dal tabaccaio».
Renzi potrebbe replicare oggi direttamente a Bologna, se trovasse spazio in agenda per accettare l’invito del presidente Legacoop Mauro Lusetti. Nel frattempo, ci pensa un caustico Giuliano Poletti: «Evidentemente con Camusso abbiamo un’idea diversa di “risultato importante”. Per me 558 mila nuovi posti di lavoro lo sono. Tanto più dopo averne perso un milione negli anni precedenti» .
Il Corriere della Sera – 9 ottobre 2016