La Stampa. Maurizio Landini va in pressing sul governo: si aspetta risposte in tempi rapidi alle tante questioni sul tavolo, a partire dalla richiesta di prorogare il blocco dei licenziamenti. E poi, assieme a Cisl e Uil, chiede a Draghi di potersi sedere ai vari tavoli del Recovery plan, da quello della cabina di regia ai ministeri a quelli con Regioni e Comuni. Boccia l’idea di risolvere la fine del blocco dei licenziamenti con la decontribuzione per i neo assunti, ma anche la proposta di un nuovo patto sociale. «Ora – spiega – serve una mediazione sociale per cambiare modello di sviluppo e creare nuova occupazione».
Segretario, le risposte che aspettavate dal governo dopo che avete lamentato un confronto inadeguato sul Recovery plan sono arrivate?
«No, le risposte non sono ancora arrivate. Noi abbiamo avanzato anche una proposta sul sistema di relazioni rispetto agli investimenti previsti dal Pnrr e le riforme che sono previste e la nostra richiesta è che si determini un sistema che consenta un confronto preventivo rispetto alle scelte che vengono compiute e che ci sia una possibile negoziazione sulle riforme più importanti che vengono delineate, dalla riforma fiscale a quella della pubblica amministrazione, alle semplificazione e siamo in attesa di avere una risposta. E poi abbiamo posto il tema della salute e sicurezza sul lavoro, chiedendo che vengano fatte assunzioni per lavorare sulla prevenzione sia negli ispettorati sul lavoro che nei servizi sanitari territoriali; abbiamo chiesto che venga introdotta la patente a punti, per far sì che le imprese che concorrono agli appalti garantiscano salute e sicurezza mentre chi non lo fa non può partecipare alle gare e che in ogni luogo di lavoro sia eletto un rappresentante alla sicurezza; siamo in attesa di poter concludere un protocollo sui temi dell’istruzione e della formazione, ed un investimento sulla scuola e sulla riapertura in sicurezza a partire da settembre superando la precarietà e con adeguate assunzioni.
E di specifico sul lavoro cosa chiedete?
«Aspettiamo anche una risposta sulla richiesta di proroga del blocco dei licenziamenti e di riforma degli ammortizzatori sociali. Poi abbiamo messo sul tavolo la necessità di andare verso il rinnovo dei contratti pubblici e di definire un rapporto tra gli investimenti che vengono indicati nel piano e la costruzione di politiche industriali e di filiera che siano in grado di qualificare l’attività del nostro Paese. Quindi ci aspettiamo rapidamente delle risposte positive e l’avvio di un confronto di merito senza il quale come organizzazioni sindacali dovremo decidere quali iniziative mettere in campo. Intanto giovedì 20 maggio, una data simbolica perché segna la nascita nel 1970 dello Statuto dei diritti lavoratori, assieme a Cisl e Uil abbiamo lanciato una giornata di assemblee nei luoghi di lavoro per mettere al centro i temi della salute, della sicurezza e della centralità del lavoro».
Sulle riforme, però, Salvini sostiene che fisco e giustizia non si faranno mai…
«Noi pensiamo esattamente il contrario: in questo momento nel Paese da un lato c’è da far partire gli investimenti pubblici, per creare lavoro per i giovani, per le donne e per il Mezzogiorno, e dall’altra le riforme non solo sono indispensabili – perché per realizzare il piano presentato a Bruxelles servono anche queste per ottenere i finanziamenti – ma perché ci sono una serie di interventi assolutamente necessarie per invertire la tendenza. Penso in particolare a quella del fisco, che serve a combattere l’evasione, abbassare la tassazione sul lavoro dipendente ed i pensionati ed aumentare i loro redditi, e ad arrivare ad allargare la base imponibile in Italia come in Europa fino alle grandi rendite e ai grandi patrimoni».
In cambio della fine del blocco dei licenziamenti il governo vuole introdurre una decontribuzione totale per i nuovi assunti. Che ne pensa?
«Alla richiesta di proroga del blocco dei licenziamenti si risponde solo con la proroga del blocco dei licenziamenti. Se dal primo di luglio si rende possibile licenziare nel settore industriale e in quello edilizio noi non siamo d’accordo, perché non è il caso di produrre nuove fratture. Noi proponiamo la riforma degli ammortizzatori, la logica della decontribuzione nel nostro Paese, di per sé, non ha mai fatto crescere l’occupazione. E se di decontribuzioni si vuole ragionare devono essere molto finalizzate, non a pioggia, e devono creare lavoro stabile».
A chi vi propone un nuovo patto sociale, stile 1993, invece cosa rispondete?
«Rispetto al 1993 il problema non è la pace sociale, non c’è un problema di moderazione salariale per entrare in Europa, semmai c’è il problema di far crescere i salari perché non si può essere poveri lavorando. Inoltre abbiamo di fronte la necessità di definire un nuovo modello di sviluppo. Per questo serve una mediazione sociale sulle riforme da realizzare e occorre che i nuovi investimenti creino nuova occupazione. Per questo servono accordi sulle singole riforme, e accordi di merito che valorizzino in lavoro. Questo è il momento di un intervento pubblico nell’economia per svolgere un ruolo di indirizzo, per creare nuove opportunità e nuovi mercati, e di mediazione sociale, in modo da superare la precarietà del lavoro, di valorizzare la qualità e la sicurezza sui luoghi di lavoro e garantire a tutti gli stessi diritti e le stesse tutele, sia che si parli di lavoro autonomo o subordinato. Per questo stiamo chiedendo anche che i contratti nazionali, magari anche attraverso un provvedimento di legge, abbiamo validità generale. Per garantire a tutti anche le ferie, il diritto alla malattia, alla formazione ed un orario stabilito. E’ questo che serve oggi, evocare il 1993 non serve».
A Draghi avete già chiesto di avere un ruolo nella governance del Recovery plan. In che termini?
«Serve un confronto preventivo e la possibilità di negoziare i contenuti delle varie riforme, comprese le semplificazioni perché va bene ridurre i tempi ed avere meno burocrazia ma siamo contrari all’idea di liberalizzare appalti e subappalti ed alla logica del massimo ribasso o addirittura di privatizzare una serie di attività e di servizi pubblici. Poi ci deve essere anche la possibilità di monitorare l’attuazione dei progetti: il piano ne prevede 190 e per questo abbiamo bisogno di conoscerli tutti in dettaglio. Serve un livello di confronto centrale a livello di Cabina di regia, uno a livello di ministeri ed un terzo con gli enti territoriali, perché più di 87 miliardi per essere messi a terra prevedono il loro coinvolgimento».
Per le risposte che aspettate non è già tardi?
«Il governo con noi il 5 di maggio si è impegnato ad un confronto preventivo prima che venissero presentati i decreti e che venissero prese le decisioni. Noi, con grande responsabilità, abbiano avanzato proposte su tutti i singoli temi: ci auguriamo di avere rapidamente delle risposte. Altrimenti dovremo valutare quali sono le iniziative più utili da mettere in campo per ottenere i risultati che ci aspettiamo. Noi vogliamo cambiare il Paese anche più del governo». —