di Antonella Viola, la Stampa. Mentre il numero di positivi per Covid-19 scende lentamente e in Italia iniziano le prime somministrazioni del vaccino per il vaiolo delle scimmie, preoccupa in tutto il Paese, ma particolarmente in Veneto, la diffusione di un altro patogeno: il virus del Nilo occidentale (West Nile virus, in inglese). Non si tratta di un’infezione nuova e, come suggerisce il nome, questo patogeno venne identificato per la prima volta, nel 1937, in una donna della regione del Nilo Occidentale dell’Uganda. Successivamente, nel 1953, il virus venne trovato in campioni prelevati da uccelli presenti nel delta del Nilo.
Il virus, infatti, è presente in diverse specie di uccelli stanziali e migratori che fungono da serbatoio del patogeno e lo trasportano in giro per il mondo. Tuttavia, perché avvenga l’infezione umana è necessario l’intervento di un altro animale: una zanzara del genere Culex. È la zanzara, infatti, che funge da vettore della malattia, cibandosi dapprima del sangue di uccelli infetti e trasferendo poi il virus quando punge gli esseri umani o altri mammiferi, tra cui i cavalli, o persino rettili e anfibi, come coccodrilli e rane. A differenza quindi dei virus che causano influenza, Covid o vaiolo delle scimmie, la trasmissione del virus del Nilo occidentale non avviene per contatti tra persone infette ma attraverso la puntura di una zanzara.
Sebbene siano riportati in letteratura scientifica dei casi d’infezione a seguito di trasfusione di sangue o trapianto d’organo, negli esseri umani il virus normalmente non si replica a livelli sufficienti da permettere il contagio; in altri termini, se una persona positiva è punta da una zanzara, questa non trasporterà il virus con sé e non infetterà altre persone.
Se invece si è punti da una zanzara che ha in precedenza banchettato su uccelli portatori del virus, è possibile contrarre l’infezione. L’incubazione dura tra i 3 e i 14 giorni ma, nella maggior parte dei casi, l’infezione non causa alcun sintomo e passa quindi del tutto inosservata. In una minoranza di soggetti (circa una persona ogni cinque), l’infezione invece si manifesta con mal di testa, dolore muscolare, febbre, vomito, diarrea, arrossamento degli occhi e ingrossamento dei linfonodi. I sintomi sono più lievi nei bambini e nei giovani, mentre possono essere severi nelle persone anziane o fragili. In alcuni casi più rari, infine, l’infezione può causare una malattia molto grave che coinvolge il sistema nervoso centrale e causa encefalite e meningite. E, in queste condizioni severe, circa una persona ogni dieci muore a causa del virus.
Purtroppo, non esistono vaccini o terapie specifiche per il virus del Nilo occidentale. La prevenzione della malattia si basa quindi sul controllo del territorio per ridurre la densità delle zanzare e, a livello individuale, sull’uso di zanzariere, repellenti e abiti che non lasciano la pelle scoperta. Importante è anche lo screening per i donatori di sangue e organi, poiché molte persone positive sono totalmente asintomatiche.
Fino agli inizi degli anni 1990, il virus ha circolato prevalentemente in Africa causando sporadici focolai caratterizzati da modesti episodi febbrili. In seguito, però, la diffusione del virus è cambiata e focolai importanti, anche dal punto di vista della severità della malattia, hanno iniziato a verificarsi nell’Europa orientale e meridionale (Russia, Romania, Israele, Grecia). Nel 1999 il virus è comparso a New York e da lì si è diffuso nel resto del continente, dal Canada al Venezuela. Oggi il virus del Nilo occidentale è diffuso in Africa, Medio Oriente, Europa meridionale e orientale, Asia occidentale, Australia e America
La complessa epidemiologia dell’infezione risente dell’impatto di molti fattori ambientali relativi all’interazione tra il virus, i vettori (le zanzare) e i serbatoi (gli uccelli). Il clima ha un ruolo essenziale in questa complessa rete dinamica, agendo sulla capacità del virus di replicarsi, sulla competenza dei vettori nel trasmetterlo e sulle dinamiche di popolazione delle zanzare e degli uccelli. L’aumento della temperatura causata dal surriscaldamento del pianeta non solo fa aumentare il numero di zanzare (e quindi di vettori della malattia) ma ne abbrevia gli intervalli tra un pasto e l’altro, spingendole a pungere più spesso, e allo stesso tempo accelera la replicazione e l’evoluzione del virus, rendendo le zanzare molto più pericolose e il virus più efficiente. Non a caso, c’è una correlazione tra l’esplosione di focolai di questa malattia e le temperature elevate. Ma l’azione della temperatura crescente sull’epidemiologia del virus del Nilo occidentale può anche essere indiretta e agire attraverso i comportamenti degli uccelli. Il cambiamento climatico modifica le abitudini degli uccelli migratori, consentendo al virus di raggiungere luoghi non abituali.
Il virus del Nilo occidentale è quindi, insieme al SARS-CoV-2 e al virus del vaiolo delle scimmie, un altro patogeno con cui dovremo convivere nei prossimi anni. La globalizzazione – che favorisce le interazioni tra persone provenienti da luoghi diversi, così come i contatti tra uomini e animali – insieme al cambiamento climatico modificheranno sempre di più non solo il nostro stile di vita ma anche quello dei nostri patogeni. Ecco perché sarà bene che ai tavoli dove si discute delle grandi crisi del futuro non si parli solo di energia, cibo, acqua e risorse economiche ma anche di virus, batteri, vaccini, antibiotici e farmaci. Ed ecco perché sarà bene investire nella ricerca biomedica e far crescere il sapere scientifico dei cittadini, per renderli partecipi di sfide in cui ognuno di noi è protagonista.
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