di Enrico Marro. Un recente report dell’ufficio studi della Federal Reserve, la banca centrale americana, lo ha messo nero su bianco: l’invecchiamento della popolazione nelle società avanzate rallenta la crescita economica, tiene bassi i tassi reali a lungo termine e schiaccia l’inflazione. Togliendo margini di azione alle stesse anche centrali, come ammette tra le righe l’istituzione guidata da Janet Yellen. Il mutamento demografico della società americana secondo gli economisti della Fed è responsabile di una “nuova normalità” fatta di «bassi investimenti, bassi tassi d’interesse e bassa crescita». Un fenomeno che in Europa e in Giappone è ancor più accentuato.
Ma quanto pesa sulla crescita una società di anziani? Il modello messo a punto nella ricerca della Federal Reserve afferma che «da soli i fattori demografici fin dal 1980 rappresentano un calo di 1,25 punti percentuali rispetto alla normale traiettoria di tassi d’interesse reali e crescita del prodotto interno lordo». Secondo la banca centrale statunitense insomma il solo invecchiamento della popolazione sarebbe responsabile di buona parte del rallentamento economico negli ultimi 35 anni, come nota John Authers dalle colonne del Financial Times. Molto più dell’innovazione tecnologica, delle politiche fiscali o monetarie e di altri mutamenti nel livello di produttività.
Tutto però potrebbe cambiare molto in fretta. Il pensionamento di massa dei baby boomer, almeno in teoria, dovrebbe dare fiato a tassi e crescita. Questo per un meccanismo semplice: fino a quando si è in età lavorativa si tende a risparmiare, acquistando quindi direttamente o indirettamente (attraverso fondi pensione) obbligazioni e mantenendo quindi i tassi bassi. Quando però si va in pensione, e si invecchia, ecco che i consumi – in farmaci, cure mediche, ma anche viaggi e altro – superano il risparmio. Di questo è convinto, tra gli altri, un gruppo di economisti di Morgan Stanley guidato dall’ex membro della Banca d’Inghilterra Charles Goodhart: la vita lavorativa porta deflazione, la pensione inflazione.
Se tutto questo fosse vero saremmo a posto. Sì, perché tutte e tre le macroaree occidentali (Stati Uniti, Europa e Giappone) hanno già toccato il picco nel rapporto tra popolazione attiva e inattiva. Ora il rapporto inizia a scendere: il numero di pensionati è destinato ad aumentare e quindi, come annunciano gli economisti di Morgan Stanley, siamo all’inizio della «storica inversione di un trend trentennale», che porterà a un aumento dei tassi, al ritorno alla crescita e in ultima analisi a una riduzione delle disuguaglianze.
Ma andrà davvero così? Qualcun altro ne dubita. Nonostante l’invecchiamento della popolazione sia un processo già in atto, i tassi restano schiacciati sul pavimento (in alcuni casi addirittura sottoterra), con inflazione e crescita economica che continuano sostanzialmente a viaggiare col motore al minimo.
Il fatto è che il mondo è cambiato: la popolazione va in pensione più tardi, con assegni pensionistici meno generosi e uno stato sociale in lenta ritirata. E soprattutto domina un grande senso di incertezza sul futuro, che alimenta i risparmi (il caso italiano è esemplare in tal senso) e frena i consumi, smentendo il modello teorico degli economisti di Morgan Stanley. E’ la “nuova normalità” e nemmeno la Federal Reserve, banca centrale più potente del mondo, può farci nulla.
Il Sole 24 Ore – 7 novembre 2016