Le dichiarazioni del ministro Marianna Madia sul licenziamento nella Pa hanno riaperto il tema che era stato oggetto di forti, quanto superficiali, discussioni già in occasione delle modifiche all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori previste dal Jobs Act. Ancora una volta è necessario sgombrare il campo dagli equivoci che continuano a danneggiare la Pa e i tentativi di riformarla.
È evidente che la Pa italiana sia divenuta costosa e inutile, producendo pochi servizi e generando inefficienza e corruzione. I problemi riguardano innanzitutto la macro-organizzazione, l’assetto e quindi l’utilizzo delle risorse umane e finanziarie. La cattiva gestione delle risorse umane si fonda sul cattivo reclutamento, sull’inefficiente utilizzo e sul mancato aggiornamento delle risorse rispetto ai processi di lavoro, che rimangono comunque vecchi e farraginosi. Manca a monte una programmazione seria e manca a valle una vera valutazione. In compenso abbondano le norme. Certi comportamenti patologici, come l’assenteismo di massa, sono il frutto quindi di una mancata gestione, di una mancata programmazione, della mancanza di obiettivi e risultati veri in termini di servizi valutabili. Se in un Comune come Sanremo, ma purtroppo non è il solo, si assentano decine e decine di dipendenti, il problema non sta nella licenziabilità o meno degli assenteisti, ma in un vuoto di governo della macchina e in un’inefficienza strutturale e in un decadimento morale, probabilmente condivisi e accettati. Sulla licenziabilità dei dipendenti che falsificano l’attestazione delle presenze la normativa esiste ed è contenuta nel Dlgs 165/2001. Si applica raramente: per quieto vivere, omertà e perché “rischiosa” per il dirigente. Ferme restando le prime cause, la rischiosità del procedimento di licenziamento potrebbe essere attenuata con alcune piccole modifiche normative, mutuandole dall’articolo 18 della legge 300/70 e dall’articolo 3 del Dlgs 23/2015 (posto che non si applichino già alla Pa). Sarebbe utile introdurre nel Dlgs 165/2001 la norma che, in caso di vizi formali e procedurali nel licenziamento, abbastanza frequenti ma non incidenti sul diritto di difesa del dipendente, si preveda anche nella Pa il pagamento di un’indennità e non il reintegro. Inoltre si dovrebbero migliorare molti codici disciplinari che disegnano fattispecie ambigue e difficili da provare per il datore di lavoro. Codici scritti per non essere mai applicati. In tutti i casi, si dovrebbe precisare che in caso di pagamento dell’indennità non si configura la responsabilità erariale per il dirigente. Una norma analoga venne prevista in passato nel contenzioso lavoristico in caso di conciliazioni in adesione. Il dirigente che ha sbagliato il procedimento disciplinare verrebbe sanzionato solo dal punto di vista della responsabilità dirigenziale, con effetti sulla retribuzione di risultato, ma non avrebbe lo spauracchio della responsabilità amministrativa. Ciò dovrebbe valere anche per l’indennità prevista all’articolo 18, comma 3 dello Statuto dei lavoratori.
L’istituto del licenziamento disciplinare non può essere uno strumento gestionale, ma deve esserci e deve funzionare quando serve. L’importante ancora una volta è, nei confronti del malato Pa, non sbagliare diagnosi e terapia. Prevedere altre norme, soprattutto se inutili, rischia di intossicare il malato.
Francesco Verbaro – Il Sole 24 Ore – 9 novembre 2015