L’orso del Trentino colpisce ancora. Ma le sue unghie e i suoi denti, che hanno ferito il turista francese di 43 anni appena fuori il paese di Dro, affondano soprattutto nella carne di una politica locale e nazionale che negli ultimi due decenni in questa vicenda ha sbagliato tutto (o quasi). Prima, volendo fortemente il reinserimento di un grande mammifero carnivoro in un’area altamente antropizzata, senza dare troppo peso ai rischi evidenziati dagli studi di fattibilità degli scienziati. Poi, quando si sono verificati i primi incidenti, trascurando tutte quelle misure che avrebbero potuto ridurre le probabilità di incontro tra plantigradi ed esseri umani. Infine, lasciandosi travolgere dalla paura (comprensibile) di chi vive o va in vacanza in quelle zone, per dichiarare guerra a tutti gli orsi, e non solo, magari, ai rari esemplari problematici.
L’emotività, va detto, non riguarda solo la giunta della Provincia Autonoma di Trento guidata da Maurizio Fugatti, ma anche le associazioni animaliste contrarie sempre e comunque agli abbattimenti, anche nel caso di animali particolarmente (e ripetutamente) aggressivi. In entrambi i casi bisognerebbe dare un po’ più ascolto alla scienza. E non perché fornisca sempre la soluzione. Ma di sicuro, da Galileo in poi, è lo strumento più potente che abbiamo per mettere a fuoco un problema e provare a venirne a capo.
E allora, cosa dicono gli scienziati che si sono occupati degli orsi del Trentino? Quando alla fine degli anni Novanta furono consultati per il varo del progetto di reinserimento, quelli dell’allora Istituto nazionale per la fauna selvatica, poi confluito nell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) dissero inizialmente di no: troppi i rischi di cui i territori interessati si sarebbero dovuti fare carico. Per di più in un contesto di totale ignoranza sugli animali che si voleva riportare tra quelle montagne: da un sondaggio realizzato all’epoca emerse che circa l’80% degli intervistati era convinto che l’orso non attaccasse mai l’essere umano. Ma la giunta di allora volle insistere, pianificando un gruppo di intervento per le emergenze e un fondo per la compensazione dei danni. E arrivò il parere favorevole dei biologi.
Il Trentino però non è il Wyoming, sia per estensione che per densità abitativa. Eppure nella patria dei grizzly le regole sono severissime, sia per gli umani che per gli orsi. Già da decenni chi sosta all’interno del Parco di Yellowstone deve depositare il cibo e gli avanzi in appositi cassonetti “blindati”, per non attirare verso il proprio motorhome l’attenzione dei grandi carnivori. E i cartelli “attenti ai grizzly” vi inseguono fin nell’intimità della toilette.
La vera sfida, in Trentino, non era solo riportare l’orso, ma creare le condizioni per una convivenza con gli esseri umani che frequentano quei monti da millenni, senza segregare nessuna delle due specie. Evidentemente si è fallito. Si è fatto poco dal punto di vista pratico (i cassonetti, per esempio) e dal punto di vista culturale (preparare le popolazioni locali alla coabitazione). Anche l’orsa che ieri ha aggredito il turista francese si è avvicinata così tanto al paese perché sapeva di potervi trovare da mangiare più facilmente che in natura. Un’abitudine ormai consolidata, che potrebbe renderne difficile anche la cattura: perché mai dovrebbe essere presa in trappola da un’esca, quando tra i rifiuti c’è tanto cibo a buon mercato?
E quando sarà catturata? Si discuterà ferocemente, ed emotivamente, di abbattimento, mantenimento in cattività o trasferimento all’estero. Anche qui: cosa dice la scienza? Per la maggior parte degli etologi che gestiscono la fauna selvatica dei grandi parchi di tutto il mondo, l’abbattimento degli esemplari problematici non è un tabù, soprattutto quando sconfinano fuori dalle aree protette a loro riservate. Inoltre, un orso catturato, secondo gli esperti, non potrà più essere rimesso in libertà: anche un breve periodo di cattività lo rende ancor più “confidente” con gli esseri umani: ne avrà meno paura e sarà ancora più pericoloso di prima.
Il che non significa licenza di uccidere tutti gli orsi che capitano a tiro in Trentino. L’anno scorso, dopo la drammatica aggressione che portò alla morte del runner Andrea Papi, l’Ispra ha condotto uno studio demografico: per rispettare le norme europee, secondo cui si possono eliminare animali selvatici purché non si metta a rischio la sopravvivenza della popolazione in questione, in caso di pericolo si potrebbero “rimuovere” fino a otto orsi all’anno, di cui al massimo due femmine. Speriamo che non sia necessario arrivare a tanto. Per gli orsi. Per i trentini. E anche per la politica.
Repubblica