di Riccardo Palmisano. Siamo alle battute finali della prima decisione dell’Europa relativamente alla prossima collocazione dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema) che lascerà Londra dopo la Brexit.
Come rappresentanti delle imprese che si occupano di biotecnologia in Italia, abbiamo fin da subito supportato la decisione di presentare la candidatura di Milano come prossima sede di Ema, considerando che più del 50% dei nostri associati lavora nel settore delle Scienze della Vita, ma soprattutto che nel prossimo futuro una larga parte dei nuovi prodotti destinati a essere immessi nell’uso clinico sarà di origine biotecnologica. Abbiamo lavorato per rendere più forte questo progetto insieme a Federchimica, la nostra federazione di appartenenza, sostenendo il lavoro di Diana Bracco che ha rappresentato le imprese del settore in questo percorso.
Adesso ci siamo: l’Europa selezionerà le candidature delle città, da Barcellona a Copenaghen, che hanno inviato le proprie dichiarazioni di interesse e i rispettivi progetti.
Possiamo valutare questa decisione da due punti di vista: quello della miglior scelta per l’Unione europea, ma anche quella dei vantaggi potenziali per il nostro Paese.
Guardando ai criteri che detteranno la scelta finale, leggiamo che ci sarà un livello di decisione tecnica e uno, probabilmente determinante, di opportunità politica. Soffermandosi sul primo, riteniamo che accanto ai punti ufficiali sui quali le diverse candidature sono chiamate a confrontarsi – dall’accessibilità logistica all’accoglienza alberghiera, dalla presenza di infrastrutture scolastiche e di assistenza sanitaria fino al mercato del lavoro, e su cui Milano sembra obiettivamente eccellere – bisognerebbe tenere conto anche di ulteriori elementi di contesto, che politici non sono, ma che rafforzano la candidatura di Milano e dell’Italia.
Innanzitutto, da molti anni, l’Agenzia italiana del farmaco è considerata una delle più avanzate al mondo, tanto da aver espresso il Direttore generale di Ema stessa, Guido Rasi. In secondo luogo il tessuto scientifico italiano è indubbiamente di altissimo livello: dall’ematologia all’oncologia, dall’immunologia alla cura delle Malattie rare, l’Italia si posiziona molto in alto nelle classifiche internazionali, ricca non solo delle proprie Università scientifiche, ma anche di una rete di Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) pubblici e privati che non ha uguali.
Restando nel pubblico, per quanto tanto spesso criticato e citato solo quando arrivano agli onori della cronaca i cosiddetti casi di “malasanità”, abbiamo e continuiamo ad avere, nonostante le risorse limitate di questi ultimi anni, uno dei migliori Servizi sanitari del mondo, come riconosciutoci dalle classifiche che ci collocano ai primi posti sia come livelli di assistenza sia come aspettativa di vita media della popolazione.
Certo, siamo anche il Paese della terapia Di Bella, di Stamina e delle campagne contro i vaccini, un Paese in cui emotività e ideologia talvolta riescono a imporsi sull’evidenza scientifica; ma le eccellenze prevalgono largamente sui limiti culturali che periodicamente minano la nostra credibilità.
Dal punto di vista industriale l’Italia può vantare la seconda produzione di farmaci in Europa dopo la Germania, con un tasso di esportazioni senza pari e con un riconoscimento assoluto dell’eccellenza delle nostre maestranze, ingegneri, chimici, biologi e biotecnologi. E proprio in area biotecnologica abbiamo alcune punte di eccellenza mondiale che troppo spesso dimentichiamo di mettere nella giusta luce: l’Italia è da anni leader nel settore dei vaccini, dove personalità scientifiche del calibro di Rino Rappuoli o del compianto Riccardo Cortese, hanno messo la propria competenza scientifica al servizio dello sviluppo d’impresa. Ma più recentemente il Paese ha realizzato un altro primato nel settore delle cosiddette terapie avanzate, uno dei settori di frontiera del biotech a livello mondiale: tre su quattro delle terapie geniche e cellulari attualmente autorizzate proprio da Ema, per tutti i Paesi dell’Unione, sono frutto della ricerca italiana.
Dove collocare questa lista di eccellenze italiane, dalla ricerca alla clinica, dall’assistenza sanitaria alla qualità regolatoria, fino allo sviluppo e alla produzione di prodotti farmaceutici e biotecnologici? Stanno certamente stretti dentro i criteri stabiliti dall’Europa per stilare la classifica, ma a nostro avviso dovrebbero contare almeno quanto i chilometri di linee della metropolitana della città candidata a ospitare Ema.
Non ci occupiamo naturalmente delle valutazioni politiche, perché facciamo un altro mestiere.
Vogliamo però aggiungere a beneficio dei nostri concittadini brevissime riflessioni sui vantaggi per il Paese di un’eventuale decisione positiva sulla candidatura di Milano. Certamente, ospitare più di mille professionisti qualificati con l’inevitabile indotto significherebbe un evidente arricchimento per la città di Milano e l’intero Paese. Ma gli elementi che stanno più a cuore ad Assobiotec, che da anni lavora per migliorare l’ecosistema italiano della ricerca e dell’innovazione nell’area delle Scienze della vita, sarebbero l’accrescimento di competenze e la spinta culturale che tale collocazione potrebbe avere per il sistema.
Viviamo nell’era della cosiddetta economia della conoscenza e il momento sembra quello giusto per fare finalmente quel salto di qualità competitiva che l’Italia merita ma che non è ancora riuscita a fare. Dalle scelte della politica in tema di incentivi fiscali per le aziende che investono in ricerca al progetto di Human technopole, ma anche di Città della salute e della scienza, il Paese sembra andare coerentemente nella direzione giusta: portare Ema a Milano darebbe la spinta giusta per rafforzare questo progetto e per giocare un ruolo da protagonisti nei prossimi anni.
Il Sole 24 Ore – 22 settembre 2017