Separare la spesa previdenziale da quella assistenziale è una condizione necessaria. Innanzitutto, si tratta di un’operazione utile a livello contabile, perché consente di fare chiarezza su spese molto diverse tra loro per finalità e modalità di finanziamento
di Claudio Testuzza. Realizzato con il patrocinio del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, a fine febbraio, è stato presentato il quinto rapporto sul bilancio del sistema previdenziale italiano elaborato dal Centro studi e ricerche itinerari previdenziali. Il documento fornisce una visione d’insieme del complesso sistema di welfare italiano, illustrando gli andamenti della spesa pensionistica, delle entrate contributive e dei saldi nelle differenti gestioni pubbliche e privatizzate che compongono il sistema pensionistico
Nel 2016, la spesa pensionistica italiana relativa a tutte le gestioni ha raggiunto, al netto della quota GIAS (vale a dire la gestione per gli interventi assistenziali), i 218.504 milioni di euro, mentre le entrate contributive sono state di 196.522 milioni di euro, per un saldo negativo di 21.981 milioni.
La gestione dei dipendenti pubblici pesa sul disavanzo
A pesare sul disavanzo, in particolare, la gestione dei dipendenti pubblici, che evidenzia un passivo di ben 29,34 miliardi, parzialmente compensato dall’attivo di 2,22 miliardi del Fondo pensione lavoratori dipendenti e dai 6,6 della gestione dei parasubordinati.
Rispetto al 2015, aumentano invece del 2,71 % i contributi versati: si riduce quindi di 4,56 miliardi il saldo negativo di oltre 26 miliardi registrato nel 2015.
Prosegue nel 2016 la riduzione del numero di pensionati, che ammontano a 16.064.508 unità, segnando il punto più basso dopo il picco del 2008. Tocca invece il massimo livello di sempre il rapporto tra occupati e pensionati, dato fondamentale per la tenuta di un sistema pensionistico a ripartizione come quello italiano. Con riferimento al 2016, risultano in pagamento in Italia 4,1 milioni di prestazioni di natura interamente assistenziale ( invalidità civile, accompagnamento, di guerra ) e ulteriori 5,3 milioni di pensioni che beneficiano, in una o più quote, di parti assistenziali (maggiorazioni sociali, integrazioni al minimo, importi aggiuntivi etc).
L’insieme delle prestazioni ha riguardato 4.104.413 soggetti, per un costo totale annuo di oltre 21 miliardi di euro ( +502 milioni e +2,41% rispetto al 2015 ). Prestazioni per le quali non è però stato di fatto versato alcun contributo al più, sono state versate contribuzioni modeste e per pochi anni.
In questa prospettiva separare la spesa previdenziale da quella assistenziale è una condizione necessaria. Innanzitutto, si tratta di un’operazione utile a livello contabile, perché consente di fare chiarezza su spese molto diverse tra loro per finalità e modalità di finanziamento
I punti vulnerabili del welfare
Si tratta poi evidentemente di un esercizio di equità tra chi ha versato e chi no. Non bisogna infatti dimenticare che il nostro modello di welfare prevede per finanziare le pensioni una tassa di scopo, i contributi sociali, mentre l’assistenza è finanziata dalla fiscalità generale.
Il quadro tracciato dal Quinto Rapporto è quello di un Paese con un welfare già molto sviluppato, ma con due cruciali punti di vulnerabilità: l’assoluta necessità di un monitoraggio della spesa assistenziale e un insufficiente livello di finanziamento imputabile all’elevata evasione fiscale e contributiva. La stima realizzata per il 2016 sulla base dei dati riferiti al 2015 rileva che occorrono all’incirca tutte le imposte dirette per finanziare la spesa per il welfare relativa all’anno 2016.
I redditi 2015 dichiarati ai fini Irpef ammontano ad un totale di 832,970 miliardi di euro ( +1,7% rispetto all’anno precedente ). Su tali redditi, al netto dell’effetto del Bonus da 80 euro di cui hanno beneficiato 11.155.355 contribuenti, per uno sgravio complessivo di 8,964 miliardi di euro, il totale Irpef versato diminuisce però dal nominale di 171,714 miliardi di euro a 162,750 miliardi euro ( 160,976 nel 2014 ) che dovranno essere ancora depurati dalle deduzioni.
Il numero dei dichiaranti nel 2015 è stato di 40,77 milioni, ma solo 30,9 milioni di contribuenti hanno presentato una dichiarazione dei redditi positiva. Oltre la metà ( 50,9 % ) degli italiani risulta dunque senza reddito, tanto che a ogni dichiarante corrispondono 1,488 abitanti che, nella maggior parte dei casi, sono persone a carico.
A fine 2016 il numero degli occupati è aumentato rispetto al 2015 di 294 mila unità passando da 22.464.753 a 22.757.838,. Migliora l’occupazione femminile e prosegue poi l’aumento degli occupati over 50 che passa dal 47 % del 2008 al 59,5 % nel terzo trimestre 2017.
Il Sole 24 Ore sanità – 9 marzo 2018