Sanità dimenticata dopo il Covid. Le sette emergenze da affrontare. Assente dalla campagna elettorale nonostante le ferite della pandemia. Tra i nodi non risolti c’è la carenza grave di medici e infermieri, ne mancano 80mila, e il ruolo degli studi nelle cure territoriali
1 La riforma. Sanità territoriale ancora tutta da attuare
Approvata la riforma con gli standard del territorio prevista dal Pnrr che investe 7 miliardi si stanno aprendo i cantieri delle nuove strutture – case e ospedali di comunità – che cominceranno a curare i primi pazienti già dal 2023 con le cure a casa che dovranno raggiungere il 10% degli over 65. Solo che i fondi per assumere il personale non solo ancora non sono stati assegnati alle Regioni (da 8 mesi è atteso un decreto Mef-Salute), ma come ha segnalato anche l’uffico parlamentare di bilancio in un documento di inizio agosto scorso le risorse per far funzionare la nuova Sanità territoriale sono «incerte».
2 gli studi medici. Sos Medici di famiglia: pochi e senza ruolo
I medici di famiglia sono finiti più volte nel mirino durante la pandemia per un ruolo piuttosto marginale nella lotta al virus accresciuto da una grave carenza in alcune aree del Paese. Da più parti, sono arrivate pressanti richieste per modificare il loro rapporto di lavoro (libero professionale) che rende difficile la loro completa integrazione. Il premier Draghi aveva annunciato la riforma anche nel suo discorso a luglio in Parlamento – l’idea era di vincolarli a “spendere” un certo numero di ore dentro le nuove case di comunità – ma con la caduta del Governo è tutto tornato nei cassetti. E ora bisogna ripartira da zero.
3 il personale. Medici e infermieri: carenza sempre più grave
Dopo dieci anni di tagli durante l’emergenza Covid è scattata la corsa alle assunzioni per provare a riempire i tanti “buchi” nelle corsie con 15mila nuovi ingressi a tempo indeterminato e un boom di contratti a tempo determinato (oltre 50mila). Solo che ne mancano ancora 20mila per tornare ai livelli di 10 anni fa. Secondo le stime dei medici ospedalieri (Anaao) e degli infermieri (Fnopi) il reale fabbisogno è di 80 mila tra medici (12mila) e infermieri (70mila). Solo che ci sono due ostacoli fondamentali: la difficoltà a trovare operatori già formati visto l’imbuto formativo del passato e il tetto di spesa del personale che prevede che non si superi il costo del 2004 a cui sottrarre l’1,4%.
4 in ospedale. Pronto soccorso vicini al collasso
Sono la prima trincea degli ospedali e sono al collasso: poco personale, stressato e costretto a turni massacranti. Il ministro Speranza ha previsto da poco una indennità per chi lavora nei pronto soccorso ma la fuga dei medici non si ferma. Anche perché già all’università restano scoperte migliaia di borse di specializzazione in emergenza perché nessuno vuole seguire questa carriera così logorante.
5 la formazione. Da medicina alle borse senza programmazione
Dopo anni di imbuto formativo (poche borse di specializzazione per i laureati in medicina) da tre anni si è invertita la rotta: ora per il futuro sono previste 12mila posti per specializzarsi a fronte, quest’anno, di 15mila ingressi al corso di laurea in Medicina. Diversi partiti evocano ora l’abolizione del numero chiuso il che potrebbe creare negli anni un fenomeno inverso, quello della pletora di medici. Per questo serve una programmazione pluriennale tra posti in Medicina e borse di specializzazione da calibrare in base alle uscite e ai reali fabbisogni.
6 la digitalizzazione. La telemedicina parte senza competenze
Il Pnrr investe 1 miliardo nella telemedicina e 1,38 miliardi per far decollare il fascicolo sanitario elettronico che dovrà contenere e rendere disponibile entro il 2025 tutta la storia medica del paziente on line. Ma la svolta digitale rischia di essere messa a repentaglio dalla mancanza di competenze e tecnici per gestire questo passaggio negli ospedali e negli studi dei medici di famiglia.
7 il finanziamento. Fondi sul Pil in calo e senza misurare gli esiti
Dopo l’emergenza Covid il Fondo sanitario nazionale è passato da 114 miliardi a 124 miliardi. Ma questa spinta al rifinanziamento del Ssn potrebbe fermarsi. Nell’ultimo Def la spesa sanitaria è prevista decrescere a un tasso medio annuo dello 0,6 per cento, passando al 6,6% del Pil nel 2023 e poi al 6,3% nel 2024 e al 6,2% nel 2025. Saranno sufficienti o si tornerà ai tagli? Anche per rispondere a questa domanda è sempre più urgente un meccanismo per misurare come viene spesa questa ingente mole di risorse da parte delle Regioni (la sanità è regionale). Senza misurare gli esiti è difficile capire qual è il fabbisogno del Ssn.