Tonfo dei consumi di carni rosse e salumi. Tra novembre 2015 e gennaio di quest’anno le vendite di carni e salumi nella grande distribuzione sono scivolate mensilmente tra il 5 e il 7 per cento. Il colpo di maglio su un mercato, che solo nella Gdo vale circa dieci miliardi, è arrivato il 26 ottobre con l’allarme lanciato dalla Iarc, l’agenzia per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità, secondo cui la carne rossa è probabilmente cancerogena e la carne rossa lavorata (insaccati e salumi) è sicuramente cancerogena. Federalimentare ha citato per danni l’Oms per la grave negligenza dimostrata nella comunicazione non corrispondente agli elementi certi a disposizione. «Siamo però bloccati dallo status diplomatico di cui godono i membri dell’Oms – osserva Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare – Ciò rende estremamente complesso l’iter processuale».
Difatti l’Oms è un’agenzia speciale per la sanità dell’Onu e come tale il suo personale gode di uno status giuridico assimilabile a quello diplomatico. Tornando ai dati sulle vendite in Italia rilevati da Iri, «il 2015 si è concluso in una situazione mediamente difficoltosa per i mercati delle carni e dei salumi – osserva Marco Limonta, di Iri – Nel corso del 2015 vi erano stati segnali di un rilancio che purtroppo sono venuti meno nel finale d’anno. Dopo la comunicazione dell’Oms questi prodotti hanno fatto registrare un trend a valore pari a -6,9% a novembre e a -6,2% a dicembre. Anche il dato di gennaio conferma la difficoltà, segnando un -4,8%».
Nel periodo novembre-gennaio i segmenti di mercato più impattati sono stati quelli dei wurstel (con punte del -20%), della carne in scatola (-15%) e della carne fresca (-8%), soprattutto quella suina e di manzo. Un vero choc per i produttori, da anni alla prese con gli effetti del mutamento degli stili alimentari: gli italiani consumano di più frutta, verdura e pesce e meno carni rosse (specie suine). Tengono salumi e carni bianche. Infatti solo nel 2015 le vendite di carni rosse nella gdo hanno perso oltre 170 milioni di vendite (-1,8% a 9,6 miliardi di euro) , soprattutto nel segmento delle carni fresche, in lieve crescita gli insaccati (wurstel a parte).
«Nei mesi c’è stato un parziale recupero delle vendite – sottolinea Scordamaglia – ma il danno ormai è fatto». Vittore Beretta, presidente del gruppo omonimo conferma «il lento riassorbimento delle perdite. Uno scivolone comunque emotivo che ha coinvolto, per esempio, anche i wurstel di pollo e tacchino che non c’entravano nulla con l’Oms».
Un ulteriore scossone però potrebbe arrivare da luglio in avanti quando la Iarc pubblicherà i dati scientifici a supporto delle conclusioni di ottobre 2015(annunciati anche dati sul caffè). «Non mi aspetterei però – sostiene Scordamaglia – la stessa reazione emotiva, anche perché hanno ammesso di aver sbagliato la comunicazione».
Recentemente il Comitato per la sicurezza alimentare del ministero della Salute si è riservato di verificare i dati scientifici di Iarc e comunque «l’insorgenza dei tumori è un evento derivante da più fattori di natura individuale, comportamentale e ambientale, tra i quali vanno considerate anche le abitudini alimentari e che l’effetto cancerogeno delle carni è condizionato da abitudini di cottura e trasformazione. D’altro canto, la carne costituisce una importante fonte di proteine ad alto valore biologico e di altri nutrienti essenziali per la vita».
Beretta si dice certo che le ricerche della Iarc siano state effettuate nei Paesi anglosassoni, «dove il consumo di carne è enorme, spesso con fritti e cottura alla griglia. Peraltro negli Stati Uniti hanno scaricato la responsabilità del rischio cancro sulle carni d’importazione, ma la verità è che la carne la mangiano a tutte le ore e tutti i giorni».
Poi l’imprenditore conclude: «Nei Paesi mediterranei è diverso: abbiamo consumi moderati e una dieta più equilibrata. Non dovremmo preoccuparci».
Sulla stessa scia Davide Calderoni, dg di Assica, l’associazione dei produttori di carni e salumi: «Le conclusioni della Iarc sono davvero grossolane. Noi però non nascondiamo che con il progetto Carni sostenibili abbiamo ancora tanto lavoro da fare: formare e informare su salute, alimentazione e sostenibilità».
Emanuele Scarci – Il Sole 24 Ore – 23 marzo 2016