Missione benessere. È l’imperativo categorico per le aziende che producono e vendono prodotti zootecnici e che hanno scoperto anche il valore economico di un’attività sostenibile ed etica. Non solo, dunque, il rispetto delle ferree norme comunitarie sul benessere animale (nella Ue sono le più rigide al mondo), ma anche interventi che rafforzano e valorizzano le buone pratiche trasformandole in un business.
A spingere in questa direzione è anche la domanda sempre più pressante dei consumatori. Secondo un’indagine realizzata da Eumetra Monterosa, nel settore lattiero-caseario per il 94% degli italiani è importante preservare il benessere negli allevamenti, mentre l’80% richiede maggiori informazioni sulle condizioni in stalla. E il 43% è disposto anche a pagare di più per prodotti con garanzia etica. Ora, poi, a dominare la scena è la campagna «antibiotici free» dettata dalla necessità di contenere l’uso dei farmaci. Dalla stalla allo scaffale la parola d’ordine è sempre una: benessere.
Uno dei settori che negli ultimi anni è stato nell’occhio del ciclone è quello avicolo. Che oggi però si colloca all’avanguardia. In occasione della sua ultima assemblea, l’associazione di settore Unaitalia ha annunciato un calo dell’impiego di antibiotici negli allevamenti del 50% nel periodo 2013-2016 rispetto al 2011. «È il risultato – spiega Lara Sanfrancesco, direttore di Unaitalia – di un complesso lavoro di rinnovamento del management degli allevamenti, formazione capillare degli allevatori e accrescimento degli standard, in particolare quelli di benessere animale».
E l’obiettivo è rafforzare ancora di più questa strategia. È stato, infatti, varato un «Protocollo» che unisce le sigle di parte agricola, trasformazione, commercio e consumatori per migliorare ulteriormente gli standard degli allevamenti.
La Amadori è in prima linea su questo fronte. «Stiamo assistendo a un forte cambiamento nel modello di consumo – afferma l’ad Massimo Romani -. Il consumatore mette sempre più al centro delle proprie scelte temi come salute, nutrizione, sostenibilità, benessere animale, ma anche comodità di fruizione, nuovi modi, luoghi ed esperienze di consumo». E proprio dal confronto con i consumatori è nata una nuova generazione di prodotti innovativi, come il pollo «Campese». Già 15 anni fa l’azienda aveva scelto di dar vita a una linea di pollo con standard di benessere animale particolarmente elevati e da febbraio scorso il Campese offre un plus ulteriore: è allevato senza uso di antibiotici. «Le azioni intraprese in questi anni, tra cui il miglioramento degli allevamenti (oltre 8 milioni investiti solo nell’ultimo anno su 80 siti), la formazione degli operatori, il monitoraggio continuo e l’autocontrollo hanno permesso ad Amadori di ridurre l’uso degli antibiotici di circa il 50% complessivamente nell’ultimo anno nella filiera avicola. E grazie a un corposo piano di investimenti di oltre 200 milioni nei prossimi cinque anni in tutta la filiera – conclude Romani – vogliamo dare il via a un nuovo percorso, che vede l’azienda protagonista di una vera innovazione nel mercato avicolo».
Secondo Mario Crescenti di Avicola Monteverde «il miglioramento del benessere, con interventi sulle strutture e sulle condizioni generali, ha un ritorno economico. Pensiamo, per esempio, alla ricaduta in campo energetico di strutture ben coibentate. Solo così l’azienda può essere competitiva». In quest’ottica è importante accedere agli aiuti dello Sviluppo rurale e Feoga per realizzare impianti di alto livello. «Siamo entrati in una spirale virtuosa e questo significa – aggiunge Crescenti – realizzare ambienti in cui non ci sono sbalzi termici ed effettuare accurati controlli. Così abbiamo ridotto del 50% l’uso di antibiotici».
Chi investe nel benessere porta a casa performance maggiori. Ne è convinto Gian Piero Calzolari, presidente di Granarolo e Granlatte: «È importante rispondere alla richiesta dei consumatori e dare visibilità sulla conduzione della stalla. Per noi è fondamentale il rapporto con i consumatori e prestiamo grande attenzione alle loro richieste, ma va detto che l’animale che sta bene dà soddisfazione anche all’impresa. Però servono investimenti ed è dunque necessario che a livello regionale i Piani di sviluppo rurale premino queste scelte». Granarolo è già sopra gli standard fissati dalle normative, «ma stiamo lavorando per migliorare ulteriormente il parametro». Calzolari pensa a un’etichetta «parlante», che possa fornire l’indicazione etica del prodotto, anche relativamente agli standard di vita superiori alla media dei capi. E comunque, «servono investimenti. L’asticella per gli interventi è rappresentata dai costi, per questo vanno premiate le aziende che si impegnano finanziariamente sul fronte del benessere».
Anche per la grande distribuzione i prodotti che provengono da allevamenti che adottano le buone pratiche rappresentano un plus. Coop, dal mese di luglio, ha arricchito gli scaffali con le uova prodotte da galline allevate a terra senza uso di antibiotici fin dalla nascita. Due referenze, certificate e con etichetta ben riconoscibile. Sono già a quota 25 le referenze Coop della linea dei polli (240mila a settimana) e 3mila invece i suini. Carrefour Italia seleziona i fornitori anche sulla base dei più alti standard di sostenibilità e attenzione al benessere animale. Dopo le uova provenienti da allevamenti a terra, all’aperto e bio, sono arrivati i salumi. Carrefour Italia e Salumificio Fratelli Beretta hanno infatti lanciato una nuova linea realizzata partendo da allevamenti non intensivi, all’aperto e che tutelano il benessere attraverso un’alimentazione vegetale e ”no Ogm”. (Annamaria Capparelli – – Il Sole 24 Ore – 6 agosto 2017)
Per Fattorie Osella più relax nelle stalle. Il caso. La prima azienda in Italia del settore lattiero-caseario ad applicare un programma strutturato
Il carretto con cui nel 1870 il nonno di Dario Osella, Giacomo, scende dall’alpeggio per vendere i suoi formaggi e che dagli anni Cinquanta è il simbolo delle Fattorie Osella continua ad avanzare sui sentieri dell’attenzione alla qualità. Nel 1952, quando apre il caseificio a Caramagna Piemonte, nel Cuneese, alle pendici del Monviso, Dario tutti i giorni assaggia personalmente il latte con cui gli allevatori della zona riforniscono la sua azienda casearia, che dal 1975 è sinonimo di robiola, il classico formaggio confezionato in forma cubica di cui Osella detiene oggi il 60% della produzione nazionale (oltre 3mila tonnellate). Dal 1984 – anno dell’accordo con Mondelez Italia, allora Kraft Foods, che porta in dote competenze tecnologiche e di marketing – l’attenzione a qualità e innovazione si concentra sugli impianti produttivi, tanto che nel 2011 viene attivato il primo robot di movimentazione per la produzione di Linea Osella. Ma il carretto non si ferma. Ancora oggi ogni giorno Fattorie Osella riceve il latte munto da 3.500-4mila mucche di 38 allevatori piemontesi selezionati della zona, distanti non più di 50 chilometri dal caseificio. Ancora oggi nel packaging dei formaggi freschi si utilizzano plastiche più barrieranti contro gli agenti esterni. E ora per cercare di catturare i nuovi clienti evoluti, quelli sempre più attenti a valori nutrizionali, provenienza delle materie prime e qualità della filiera, dall’inizio del 2016 – come racconta Paolo Amadori, business manager dell’azienda, che oggi fattura quasi 60 milioni di euro e conta 143 addetti – «abbiamo avviato, in collaborazione con l’Istituto zooprofilattico sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta e la Onlus Ciwf (Compassion in World Farming, associazione che si occupa della protezione degli animali da allevamento), un progetto volto alla valutazione del benessere delle vacche da latte e in un secondo momento abbiamo adottato il Disciplinare del Crenba, il Centro di referenza nazionale del benessere animale dell’Istituto zooprofilattico di Lombardia ed Emilia-Romagna. Così siamo diventati la prima azienda italiana nel settore lattiero-caseario ad aver concluso questo programma strutturato: la certificazione Csqa del benessere animale del 100% degli allevamenti che ci conferiscono il latte arriverà entro la fine dell’anno. E questo traguardo, che per noi non è pura operazione di marketing, ma un work in progress sulla qualità condiviso con i nostri stakeholders, troverà poi la giusta visibilità sulle etichette dei nostri prodotti».
Da sempre Fattorie Osella ha adottato un sistema di premialità per la qualità del latte, ma «ci mancava un sistema olistico di valutazione del benessere animale». Si guarda al modello francese, all’avanguardia in questo campo, e con l’aiuto del Crenba l’audit diventa più strutturato. Il disciplinare, infatti, “spinge” gli allevatori a investire per rispettare 90 indicatori e 5 libertà fondamentali: libertà delle vacche dalla cattiva nutrizione, dai disagi ambientali, da traumi e malattie, da pericoli e stress e libertà di esprimere i comportamenti naturali della specie. Il rispetto dei requisiti e il miglioramento degli indicatori viene misurato con un punteggio: il buon livello di benessere animale è pari a 60, e Osella ottiene quasi 74. Sono stati necessari interventi sugli abbeveratoi (garantendone un numero maggiore e una migliore accessibilità agli animali), sulle dimensioni e sugli spazi delle strutture per favorire il relax e il movimento delle mucche e nelle stalle sono stati realizzati box infermeria e sale parto.
«Questo è solo un primo passo – precisa Amadori – per cercare di ovviare alla progressiva “commoditizzazione” del latte. Non solo: attraverso la certificazione del benessere animale contiamo di incrementare le vendite e di migliorare la nostra quota di export, oggi al 3%, rafforzandoci nei mercati tradizionalmente più sensibili ai temi della sostenibilità, come Germania, Regno Unito e Stati Uniti». (Marco Biscella – Il Sole 24 Ore – 6 agosto 2017)
7 agosto 2017