Stop ai rimborsi e sedi chiuse. In un anno patrimonio dimezzato. Per Antonio Di Pietro sono settimane di fuoco. Prima, appena addolcita dall’elezione di suo figlio Cristiano nel consiglio regionale del Molise, la batosta elettorale.
Un danno incalcolabile anche dal punto di vista economico, al quale si è aggiunta pure la beffa. Quale beffa? Che mentre la sua stella tramontava fra scontri e veleni interni al partito, saliva prepotentemente quella di Beppe Grillo: del quale, ai tempi che furono, aveva condiviso il sodalizio con il fornitore di servizi informatici Gianroberto Casaleggio.
Poi, subito dopo la mazzata, la dolorosa prospettiva di una notte dei lunghi coltelli nell’Italia dei valori. «Fallimento dell’Idv, scatta la resa dei conti», titolava venerdì il Giornale della famiglia di Silvio Berlusconi. E va bene che il quotidiano di proprietà del fratello del Cavaliere non è mai stato tenero con l’ex pm di Mani Pulite. Ma la cosa sembra davvero seria, visti gli stracci che stanno volando da un po’ di tempo nel partito.
Fra i tanti aspetti che presenta questa vicenda ce n’è uno, tuttavia, che rischia di avere strascichi maleodoranti. Come purtroppo accade in ogni famiglia i cui componenti decidono di separarsi. Parliamo dei soldi.
Perché nonostante i tagli, il partito fondato da Tonino Di Pietro ha ancora in pancia un bel tesoretto: almeno a giudicare dal bilancio del 2012, che è stato già pubblicato, con sorprendente efficienza e solerzia. Al 31 dicembre del 2012 il patrimonio netto era di 16 milioni 604.830 euro. Certo, rispetto a un anno prima, quando toccava 35 milioni 763.265 euro si era ridotto di oltre la metà: per colpa soprattutto della rinuncia all’ultima tranche dei ricchissimi rimborsi elettorali relativi alle elezioni politiche del 2008. In ogni caso, però, una cifra ancora consistente e soprattutto ben investita. E non per i 4 milioni 451 mila euro depositati in banca, anche qui meno della metà rispetto al 2011 (più di 9 milioni). Soprattutto, per gli 8 milioni di investimenti finanziari, fra cui i 7,3 milioni di titoli della Eurizon Capital, società di gestione del risparmio che fa capo al gruppo Intesa Sanpaolo. Rendimento totale: 285.603 euro. Che su 8 milioni tondi fa il 3,56 per cento netto. Un risultato coi fiocchi, di questi tempi. Anche in confronto ai Buoni del Tesoro. A proposito, «È fatto divieto ai partiti di investire la propria liquidità derivante dalla disponibilità di risorse pubbliche in investimenti finanziari diversi dai titoli emessi da Stati membri dell’Unione Europea»: non dice così l’articolo 9 della legge 96 del 2012, quella che a luglio ha dimezzato i rimborsi elettorali e ha comportato la famosa rinuncia all’ultima tranche delle elezioni 2008?
Si tratta con ogni probabilità di investimenti precedenti a quella legge, visto che già nel bilancio del 2010 figuravano titoli Eurizon Capital Sgr per 3 milioni 983.284 euro. Ma è un fatto che nei conti al 31 dicembre 2012 risultavano raddoppiati in confronto a due anni prima.
Va detto che il bilancio dello scorso anno non fotografa esattamente la situazione attuale. Non dice, per esempio, quanto l’Italia dei valori abbia speso (e incassato) per l’ultima sventurata campagna elettorale, ma fa chiaramente capire che dopo il taglio del finanziamento pubblico l’aria è cambiata. E sarebbe cambiata, eccome, anche se Di Pietro e i suoi non fossero stati trombati. Un segnale inequivocabile, la risoluzione anticipata dei contratti d’affitto della sede di Milano, di quella di Bergamo, e di uno dei due appartamenti della sede nazionale di Roma. Altri tempi, rispetto a quando la sede del partito, come ha raccontato recentemente Libero , era in un immobile di proprietà della società di Di Pietro, la An.To.Cri. Un appartamento, ha ricordato questo quotidiano mai particolarmente generoso con l’ex magistrato, acquistato poi un giorno dalla Immobiliare estate due, una srl riconducibile al senatore di un partito, il Popolo della libertà di Berlusconi, che più lontano dal leader dell’Idv non avrebbe potuto essere. Il suo nome, Riccardo Conti: assunto a improvvisa notorietà un anno fa quando La7 ha rivelato che nell’arco di una stessa giornata aveva acquistato un palazzo a Roma per 26,5 milioni di euro rivendendolo in poche ore all’Ente di previdenza degli psicologi per 44. E tracce di quel rapporto fra Di Pietro e il senatore del Pdl esistono ancora nel bilancio della An.To.Cri., dove figura un credito di 2.598 euro verso la Immobilare estate due.
Altri tempi anche rispetto al 2001, quando l’ex pm era rimasto, esattamente come ora, fuori dal Parlamento: il suo partito non aveva superato la soglia di sbarramento. Senza seggi e senza denari. Finché arrivò, qualche mese dopo, la provvidenziale leggina che oltre a moltiplicare l’importo dei rimborsi elettorali ne consentiva l’erogazione anche ai partiti che pur non avendo superato il 4 per cento necessario ad avere posti in Parlamento nella quota proporzionale, avessero comunque raccolto almeno l’un per cento dei suffragi. Dissero che serviva a far avere i soldi al Ccd, che pur essendo entrato in Parlamento insieme alla coalizione guidata da Berlusconi non aveva raggiunto la fatidica soglia del 4 per cento. L’effetto collaterale, comunque, fu che pure il partito fondato da Tonino ebbe accesso ai finanziamenti pubblici. Insieme ad altre formazioni minori, come per esempio i Comunisti italiani. La leggina venne astutamente approvata a tempo di record negli ultimi giorni di luglio perché entrasse in vigore 48 ore prima del 31 di quel mese: la scadenza prevista per il pagamento dei contributi, che vennero quindi prontamente versati anche nelle casse dell’Italia dei valori.
Inutile sperare adesso in una eventualità del genere. Di Pietro potrà contare ancora su una manciata di rimborsi per le elezioni europee e regionali: nel bilancio 2012 sono contabilizzati crediti per 4 milioni. Spiccioli, confrontati alla valanga di denaro cui tutti si erano abituati. Poi più niente, a meno di qualche miracolo. Si consolino: il denaro non è tutto. È così che si dice, no?
Sergio Rizzo – Corriere della Sera – 8 aprile 2013