Il 2022 è l’anno mondiale della pesca artigianale e dell’acquacoltura: lo ha deciso la Fao, che ha così voluto puntare l’attenzione sul ruolo sempre più determinante della piccola pesca e dell’allevamento in un settore in grande espansione, soprattutto a livello di consumi. L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha stimato che, da qui al 2030, la domanda di prodotti ittici aumenterà di almeno 40 milioni di tonnellate ogni anno. E la previsione è prudente, perché considera che i consumi pro capite restino invariati, mentre in realtà sono in crescita da anni: oggi siamo a 20,5 kg annui pro capite contro i 9 kg del 1961. Sarà, dunque, impossibile soddisfare questa richiesta basandosi solo sul pesce di cattura, visto che già oggi la pesca ha raggiunto un’intensità difficilmente sostenibile e che i cambiamenti climatici e l’inquinamento stanno aggravando i problemi dell’ecosistema marino. Se vogliamo continuare a gustare orate e gamberi, cozze e salmoni dovremo comprare quelli allevati, che, entro il 2030, supereranno quelli pescati: se oggi sono il 46% dei 178 milioni di tonnellate di pesce disponibili in un anno, si prevede che nell’arco di meno di un decennio arriveranno oltre la soglia del 60 per cento.
Basta remore, quindi, è il messaggio della Fao: l’acquacoltura, soprattutto se condotta in modo sostenibile, è fondamentale per il futuro del pianeta perché rappresenta una soluzione per salvare il depauperamento dei mari e per abbattere le emissioni nocive dei pescherecci. E su questo fronte l’Italia parte bene: secondo un report Ue, nei cinque anni precedenti alla pandemia la crescita di produzione dell’acquacoltura è stata del 4% e ci ha portato al quarto posto per produzione in Europa (mentre nella pesca siamo al decimo) con 154mila tonnellate annue, per un valore superiore a 453 milioni di euro. Il pescato invece ammontava a circa 174mila tonnellate, per un valore di 887 milioni. Ma dal 2010 al 2019 questo è ? diminuito, secondo Alleanza delle cooperative, del 15,7 per cento. Le oltre 1.700 imprese italiane allevano ben 25 specie (soprattutto trote, orate, cozze e spigole) e sono un punto di riferimento internazionale per vongole veraci e storione. «Il nostro è un settore importante, fatto per l’80% da piccole o micro imprese, spesso a conduzione familiare, che sostengono l’economia di zone altrimenti abbandonate (come le lagune e le aree umide) e contribuiscono alla salvaguardia di specie che sarebbero a rischio di estinzione, come lo storione, diventato un gioiello dell’export alimentare italiano», spiega Andrea Fabris, direttore dell’Associazione piscicoltori italiani.
Nonostante i numeri, però, ancora tre quarti dei prodotti ittici consumati in Italia arrivano dall’estero: c’è, quindi, un ampio spazio di mercato da conquistare per il made in Italy. Ma serve uno sforzo di sistema. «Abbiamo bisogno che venga costituito uno sportello unico per l’acquacoltura, visto che al momento quest’attività ricade sia nell’ambito della pesca che dell’agricoltura – aggiunge Fabris – e che vengano semplificati gli adempimenti burocratici, con meno autorizzazioni, regole armonizzate tra le regioni e tempi più brevi, visto che oggi per ottenere una licenza servono 30-36 mesi». E poi serve individuare le aree vocate dove installare nuovi impianti, che abbiano caratteristiche coerenti con gli orientamenti strategici per un’acquacoltura sostenibile indicati dalla Ue nel piano 2021-2030.
In quest’ottica ha preso il via il progetto Acquacoltura Sostenibile, che mira a rendere più competitiva la filiera attraverso il miglioramento della qualità e del valore dei prodotti e attraverso l’upgrading in termini di impatto ambientale e benessere animale. Un percorso iniziato nel 2020, quando l’acquacoltura sostenibile è stata inserita nel sistema di qualità nazionale zootecnica; un’importante lasciapassare per fornire questi prodotti alle mense di scuole e Rsa. L’ok definitivo, però, è arrivato solo a gennaio, quando è stata approvata la versione modificata del disciplinare produttivo. Finanziato dal Feamp (Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca) riguarda la filiera di 20 specie, tra pesci e molluschi, a partire dall’allevamento fino alla vendita dei prodotti, identificati da un logo ad hoc.