La fase di studio è finita. Il negoziato tra Usa e Europa sul Ttip (Transatlantic trade and investment partnership, il trattato sul commercio transatlantico) «sta entrando nel vivo». Come riferisce Paolo De Castro, 57 anni, eurodeputato del Pd e responsabile della trattativa per il capitolo forse più importante: l’agricoltura.
Le discussioni toccano tre punti. L’apertura dei mercati, con l’abolizione dei dazi doganali; la condivisione delle regole sanitarie; la protezione dell’indicazione geografica dei prodotti.
A febbraio si è concluso l’ottavo round di incontri. Gli americani non sembrano avere fretta…
«Dal punto di vista commerciale per gli americani è più importante finalizzare il trattato analogo con i partner asiatici. Ma sono appena tornato da Washington con una novità. Tra aprile e maggio il Congresso dovrebbe autorizzare l’amministrazione Obama a chiudere il negoziato. A questo punto potremmo farcela entro la primavera del 2016».
Qual è l’interesse degli americani?
«Sono spinti da motivazioni commerciali, è chiaro. Ma sono anche molto preoccupati per il protagonismo di Pechino su scala mondiale. Cito solo un paio di esempi: il 40% del mercato americano della carne suina è controllato da aziende cinesi. E pure cinesi sono le grandi compagnie che controllano il grosso della produzione di mais e di soia in Brasile. Una volta erano americane…».
E gli Stati Uniti che cosa chiedono agli europei?
«Di costruire insieme una strategia di contenimento e di condivisione di regole internazionali sulla sicurezza alimentare. Il trattato sarebbe un primo passo. L’Expo di Milano potrebbe essere un altro».
Ma una parte dell’opinione pubblica europea diffida del cibo americano. È vero che gli organismi geneticamente modificati, gli ogm, e gli ormoni non fanno parte del confronto. Però c’è il timore di essere invasi da prodotti spazzatura…
«È una paura infondata. Gli Stati Uniti esportano in Europa quasi solo commodities: mais, soia, carne, latte in polvere. Con il trattato le cose non cambierebbero».
In rete circola una petizione anti Ttip già firmata da un milione e mezzo di europei. Qual è la sua risposta?
«Il punto fondamentale è questo: non ci sarà alcuna modifica delle regole europee sulla sicurezza del cibo. Non cambierà il nostro principio di precauzione: prima di immettere ogni prodotto sul mercato bisogna verificare che non sia nocivo per la salute».
Se non cambia niente, come si spiega le proteste?
«Mi pare che stia tornando un certo anti-americanismo preconcetto, propagandato da certi partiti. Il Front National in Francia, il Movimento 5 Stelle in Italia. Non so, qui stiamo parlando degli Stati Uniti, un Paese che ha vincoli talvolta più severi dei nostri. Per esempio le rigide norme sanitarie americane bloccano di fatto l’importazione dei nostri salumi. Altro caso: l’Europa importa quasi tutta la carne di pollo dal Sud-est asiatico e neanche un chilo dagli Usa. È la scelta più corretta?».
Sembra così che nell’agroalimentare il Ttip premierebbe di più l’Unione Europea…
«Lo dicono le cifre. La Ue conta un saldo positivo della bilancia con gli Usa pari a 6 miliardi di euro e negli ultimi 10 anni questo saldo è cresciuto del 36%. I nostri prodotti di punta sono vino, pasta, formaggi, olio, conserve di ortofrutta. Se riusciremo ad aprire ancora di più il mercato Usa, le esportazioni europee potrebbero in breve passare dagli attuali 17 a oltre 30 miliardi».
L’Italia cavalcherà l’onda?
«Certo, perché siamo leader in diversi settori, come vino, olio, formaggi. Le nostre esportazioni oggi valgono 3 miliardi: possono raddoppiare».
In Europa, però, non tutti producono vino o pasta…
«È vero. Ci sono Paesi più convinti come Italia, Spagna, Francia e Grecia; mentre nel Nord Europa esistono preoccupazioni legate soprattutto all’importazione di carne americana. È una trattativa nella trattativa. Ma penso che si possa trovare un equilibrio, senza dimenticare poi che l’intesa con gli americani dovrà essere prima approvata dal Parlamento europeo e poi ratificata dai parlamenti nazionali».
Il Corriere della Sera – 18 marzo 2015