Per ora rilevati 14 casi ma non si fanno sequenziamenti. I ricercatori spingono perché anche l’Italia implementi la capacità di mappare le varianti
I casi in Italia
Nonostante alcuni governatori indichino la presenza della variante inglese, B.1.1.7, come causa dell’aumento di contagi, non sappiamo davvero quanto sia diffusa in Italia perché non facciamo sequenziamenti genetici, se non per singoli studi scientifici o la volontarietà di alcuni laboratori di ricerca. Lo screening obbligatorio ha mappato solo i viaggiatori tornati dal Regno Unito e ha rilevato (visto che i voli sono stati interrotti) meno di 20 casi sul territorio nazionale, sparsi a macchia di leopardo tra le Regioni (non tutte): due in Lombardia, quattro in Veneto, sei in Campania, due in Puglia e uno a Chieti (al 26 dicembre). Per sequenziare i virus da tamponi positivi serve tempo, ma soprattutto servono investimenti.
Mappare la diffusione
La situazione italiana non è unica. La maggior parte dei Paesi del mondo non è ancora attrezzata per sequenziamenti in serie. La variante inglese non si chiama «inglese» per caso: la Gran Bretagna è uno dei Paesi meglio attrezzati per i genomi e per questo ha individuato la variante, che non è detto sia nata lì. La variante è molto diffusa anche in Danimarca, ma la Danimarca è un altro Paese che esegue molti sequenziamenti, tanto da mappare anche le varianti animali (ricordiamo quanto fatto nel caso dei visoni). Per dare un’idea, a dicembre gli Stati Uniti avevano sequenziato solo 51mila test sui 18 milioni di casi di coronavirus mappati, mentre il Regno Unito mirava a sequenziarne 10mila a settimana. Attualmente lo sforzo inglese arriva a sequenziare circa il 10% di tutti i casi positivi.
Molto contagiosa, preoccupa gli scienziati
Adesso che è in programma la vaccinazione di milioni di persone, mappare le varianti diventa più importante, perché il virus, sotto la pressione di persone che «resistono», può iniziare a mutare maggiormente per evitare la stretta del vaccino ed eludere la risposta immunitaria. Alcuni calcoli prevedono che immunizzare circa il 60% della popolazione entro un anno e mantenere basso il numero di casi mentre ciò accade, aiuterà a ridurre al minimo le possibilità che il virus muti in modo significativo.
L’altro problema con la variante inglese è sicuramente poterla frenare subito. Pur non essendo più letale, è molto più contagiosa, che significa in via indiretta essere anche «più letale». In base ai dati di tracciamento dei contatti, la B.1.1.7 è trasmissibile di circa 1,5 volte: a livello matematico, con una maggior trasmissibilità, un virus che uccide l’1% delle persone, ma contagia milioni di soggetti, provocherà alla fine più morti di un virus che contagia poche persone e ne uccide il 2%.
La drammatica crescita in Irlanda
La trasmissione massiccia di una variante più contagiosa mette a dura prova il sistema sanitario e anche la campagna vaccinazioni. I Paesi dove è più diffusa sono in affanno per contenere i nuovi positivi e gli ospedali si riempiono. Il livello di contagio balza in maniera drastica, molto più di quanto osservato per fortuna finora in Italia. Se si osservano le curve di crescita di nuovi casi in Europa e le si confronta con Regno Unito e Irlanda (dove la variante sta prevalendo sugli altri ceppi) si nota la differenza enorme nella salita (si veda grafico sopra, ndr). Il 9 dicembre oltre il 60% di tutti i casi in UK erano relativi alla B.1.1.7 rispetto al 30% di novembre. In Irlanda, dove i positivi stanno aumentando rapidamente, la variante rappresenta ora un quarto dei casi sequenziati. Per questo un team di scienziati britannici ha pubblicato uno studio dove si avverte che, in presenza della «B.1.1.7», potrebbero essere necessarie nuove misure di controllo, inclusa la chiusura di scuole e Università.
La rincorsa contro il tempo
In teoria un virus molto infettivo richiede anche un tempo maggiore per raggiungere l’immunità di gregge rispetto a un virus poco diffusivo: mentre prima si parlava di una copertura vaccinale pari al 60-70 per cento della popolazione, potrebbe essere necessario arrivare al 75-80 per cento. Ci vorrebbero anche più mesi: in un Paese dove il virus avesse già colpito il 10 per cento dei soggetti, vaccinando ogni mese il 5% della popolazione, l’immunità sarebbe raggiunta a dicembre del 2021 anziché a settembre, ma sono solo ipotesi.