Questi sono solo alcuni degli obiettivi proposti negli ultimi mesi dalla Commissione europea. Con quello che il Parlamento Ue definisce «il treno legislativo» di fine mandato, sono in arrivo altri dieci atti, in particolare rivolti al trasporto aereo e marittimo. «Il varo dei provvedimenti si sta accumulando in questa fase finale di legislatura europea, dopo due anni passati alla rincorsa delle emergenze, dal Covid all’aumento dei prezzi energetici», commenta Stefano Ciafani, presidente di Legambiente.
La tabella di marcia è fissata dal Green Deal adottato nel 2019 che contiene il quadro generale del percorso finalizzato al taglio delle emissioni di gas serra già tra sette anni. Con il piano «Fit for 55» Bruxelles punta a traghettare i Paesi membri e l’economia europea verso la sostenibilità, una spinta che passa inevitabilmente per obiettivi ambiziosi, veicolati da direttive e regolamenti.
Nella giornata mondiale dell’Ambiente è importante riassumere le tappe fondamentali di questa attuazione. Il primo intervento è stata la legge europea sul clima (regolamento 2021/1119) che fissa il principio della neutralità climatica entro il 2050. Lo strumento utilizzato è stato il regolamento, direttamente applicabile negli Stati membri, frenando così in partenza ogni possibilità di annacquare gli obblighi previsti. Si collega al quadro del «Fit for 55» anche il RePower Eu, piano presentato a maggio 2022 dopo la guerra in Ucraina per rivedere la dipendenza del continente dal gas russo e contrastare la crisi climatica.
I target sono in continua evoluzione. Tutti i settori dell’economia verranno interessati dall’azione Ue: dai trasporti all’energia, dall’edilizia ai prodotti tessili. Di recente alcuni target sono stati rivisti (in ottica più stringente) per adattarsi ai cambiamenti in corso. Non mancano, però, le perplessità degli operatori dei vari settori chiamati causa sull’impatto che queste exit strategies possono avere all’interno dei singoli Paesi e sugli eccessivi gap da colmare: molti target risultano difficili da raggiungere. «Negli ultimi mesi, però, il Governo sta sbagliando a contestare ogni singolo provvedimento europeo – commenta Ciafani – perché così facendo, quando poi dovremo davvero chiedere delle correzioni nel merito, a quel punto non ci ascolteranno più. Siamo diventati i contestatori seriali dell’Europa, mentre potremmo essere uno dei Paesi “motore” del cambiamento».
La cartina di tornasole delle difficoltà italiane nell’adozione di misure di recepimento – nel caso delle direttive – per rispettare gli obiettivi imposti da Bruxelles sono le procedure di infrazione aperte. Anche se, a livello complessivo, i numeri non vedono l’Italia in una posizione particolarmente negativa o positiva rispetto agli altri Paesi, secondo il database della Commissione, dal 1° gennaio 2017 a oggi ne sono state aperte 1.471 contro il nostro Paese (di qui solo 83 sono ancora aperte) e l’ambiente è tra i settori che in questi sei anni ha collezionato più procedure: con 276 infrazioni (di cui 17 ancora aperte), è secondo solo al settore del mercato interno, industria e Pmi. Tra i casi ancora da definire ci sono la cattiva applicazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria per quanto concerne i valori limite per il PM2,5 e il mancato completamento della designazione dei siti della rete Natura 2000, il principale strumento europeo per la tutela della biodiversità. E, ancora, violazioni delle norme europee su rifiuti in Campania e sulla gestione delle acque reflue urbane.
Proprio quest’ultima questione è tornata di stringente attualità: il 1° giugno la Commissione Ue ha deciso di deferire il caso alla Corte di Giustizia, visto che l’Italia non ha ancora raggiunto la conformità alla direttiva 91/271/EEC in cinque agglomerati urbani.
Il Sole 24 Ore