Da «bonus» per i regali di Natale a ultima risorsa per pagare tasse e mutui. La percezione della tredicesima è cambiata parecchio negli anni ma ogni volta che si parla di possibili provvedimenti su questa fetta di retribuzione aggiuntiva, la più diffusa fra lavoratori dipendenti e pensionati, viene scossa la sensibilità collettiva: del resto Riccardo Bacchelli ne scrisse come «ebbrezza nazionale». Non stupisce perciò che resti nel cuore di tutti nonostante l’entusiasmo si sia attenuato fino a perdersi nelle preoccupazioni.
Così le indiscrezioni che circolano su una detassazione che, secondo alcune stime, potrebbe far lievitare nel 2014 la «busta in più» di 100 o anche 300 euro (secondo i redditi), hanno alimentato nuove speranze. Forse più che per il valore dei soldi attesi, per molti destinati a volar via in fretta e non certo in euforici colpi di shopping, per il sapore natalizio ancora attribuito alla tredicesima.
Nata appunto come gratifica elargita liberamente dal datore di lavoro in occasione delle festività, diventa elemento significativo del welfare fascista nel 1937 quando viene introdotta nelle retribuzioni degli impiegati dell’industria. Nel ‘46 viene estesa agli operai e, ancora prima che nel ‘60 diventi “patrimonio” di tutti, entra già nelle mire di chi cerca risorse: nel luglio 1948 il ministro del lavoro Amintore Fanfani presenta un disegno di legge che dispone l’accantonamento («risparmio») di una parte delle tredicesime per finanziare il piano casa.
Fonte a cui attingere nella Ricostruzione, la busta aggiuntiva che Luigi Einaudi definisce «uno stipendio comico e immaginario», diventa con la validità «erga omnes» il simbolo del boom economico. Italo Calvino racconta di Marcovaldo che, facendo conto «di quanto gli spettava a fine mese tra tredicesima mensilità e ore straordinarie, immagina di poter correre anche lui «per i negozi a comprare comprare comprare per regalare regalare regalare».
Sono ricordi lontani. Già negli anni Settanta il vento è cambiato e da allora l’austerità si accanisce sulla tredicesima con ripetute voci di tassazione, abolizione, riduzione, compressione e solo qualche volta il destino appare generoso con l’amata gratifica. Ma non sono solo i rumor (nella maggior parte dei casi destinati a restare tali) a infastidire chi attende la busta di Natale. Inflazione, fisco, erodono redditi e risparmi e si mangiano ciò che lo Stato non divora per provvedimento. Già nei primi anni Novanta di parla di «tredicesima da dimenticare» e consumi-extra per regali in calo ogni anno in percentuali a due cifre. Nel 1997 la distribuzione della «gratifica» ai dipendenti pubblici è salvata in extremis dalla revoca di uno sciopero in Bankitalia, programmato proprio per il 18 dicembre.
Con la crisi recente, che vede le piazze infiammarsi in Grecia e Spagna anche sul caldo tema delle tredicesime pubbliche (e private), tremano più volte i 18-20 milioni di lavoratori e pensionati italiani che incassano con la tredicesima oltre 40 miliardi. Nel luglio 2010 Silvio Berlusconi ha dovuto smentire «nella maniera più assoluta» il taglio della tredicesima a polizia, carabinieri, magistrati, professori universitari, prefetti e diplomatici. E nel luglio 2012 anche il governo Monti deve assicurare pubblicamente che non è previsto il congelamento delle tredicesime per i dipendenti pubblici. Nel frattempo però nuovi pericoli arrivano da recessione e credit crunch: per poterle pagare a Natale si moltiplicano le richieste di prestiti da parte delle piccole imprese, ma le banche tirano il freno. E le stime sulla loro destinazione diventa meno «gaia»: secondo Confesercenti in un solo anno sono stati sottratti ai «regali» 700 milioni, mentre sono aumentati di oltre 600 i milioni utilizzati per pagare conti in sospeso e mutui. Quel che si può va infine a rimpiazzare risparmio perduto. Marcovaldo oggi non correrebbe per negozi. Andrebbe in banca.
Sergio Bocconi – Corriere della Sera – 17 settembre 2013