Le acque d’altura non sono più ritenute “terra di nessuno” L’intesa raggiunta al Palazzo di vetro permetterà di salvaguardare gli ecosistemi e migliaia di specie finora prive di garanzie di sopravvivenza
L’oceano, nelle acque internazionali, non andrà più considerato come “terra di nessuno” ma un luogo che da ora in poi tutti noi siamo chiamati a proteggere. Ci abbiamo messo decenni, come umanità, prima di decidere di restituire un favore al grande blu che occupa due terzi del Pianeta e tanto ci aiuta assorbendo il 90% del calore in eccesso che generiamo, permettendoci di respirare e vivere. Finalmente, dopo anni di negoziati, nel weekend a New York gli stati membri dell’Onu hanno raggiunto un accordo storico: il 30% dell’alto mare sarà collocato in aree protette entro il 2030, una mossa che permetterà di tutelare ecosistemi e salvaguardare migliaia di specie finora prive di garanzie di sopravvivenza.
Dagli anni Ottanta, infatti, i paesi hanno stabilito che la zona di mare a oltre 200 miglia dalle coste è internazionale, di nessuno: lì si può pescare, fare ricerca, spostarsi con imbarcazioni, esplorare le profondità anche per fini commerciali. Si trattadi una gigantesca area e un mondo a noi poco noto, che rappresenta quasi la metà di tutta la superficie del Pianeta: eppure, di questo infinito tappeto blu spesso impattato dalle attività dell’uomo, solo l’1,2% è attualmente protetto.
L’oceano malato, sempre più caldo e acido, con quasi il 15% delle specie marine a rischio estinzione (dati Iucn), inquinato da milioni di tonnellate di plastica e colpito dalle più svariate attività umane, dalla sovrapesca sino al “deep mining” per cercare minerali in profondità o alle esplorazioni per il mercato delle risorse genetiche marine, da tempo sembra lanciare un grido di aiuto che finalmente abbiamo scelto di ascoltare con il nuovo Trattato sull’alto mare. «Quasi non ci credo, è davvero un accordo storico» commenta Francesca Santoro, oceanografa specialista del Programma della Commissione Oceanografica Intergovernativa dell’Unesco. «Questo trattato segue a ruota le buone notizie arrivate dalla Cop15 di Montreal per aumentare la protezione della biodiversità: adesso l’oceano ha davvero una speranza in più. Finora nelle acque internazionali mancavano regolamenti, una sorta di far west. In parte, è anche una risposta a temi come l’avanzata dell’esplorazione mineraria in profondità, oppure quello delle risorse marine genetiche per la farmaceutica, la cosmesi, il cibo. Adesso i nuovi accordi prevedono che aumenti la vigilanza, la tutela e anche le valutazioni ambientali, in sostanza una regolamentazione di quanto si potrà fare in alto mare. E naturalmente, la più grande garanzia di salvaguardia arriverà dall’istituzione di nuove aree marine protette in almeno il 30% delle acque internazionali».
Con la nuova intesa all’Onu, nel prossimo futuro le acque fuori dalle giurisdizioni dei vari stati verranno dunque regolate grazie a una protezione e a limiti sulla quantità di pesca che si potrà praticare, ma anche a quelli per le rotte marittime, oppure con divieti e leggi relative alle attività di deep mining (a oltre 200 metri) che potrebbero rivelarsi devastanti per la salute delle specie.
Prima di arrivare alle restrizioni, serviranno però altri incontri e «verrà istituita una Cop, una Conferenza delle parti, per implementare il trattato e portare avanti negoziati. Per ora è un primo passo – spiega Santoro – un segnale importantissimo che indica anche la necessità, talvolta, di mettere in secondo piano gli interessi economici e favorire invece quelli per la salute degli oceani oggi in difficoltà per l’emergenza climatica». Anche le associazioni ambientaliste internazionali sottolineano come si tratti di un «accordo storico per la conservazione e un segno che in un mondo diviso, la protezione della natura e delle persone può trionfare sulla geopolitica» dicono da Greenpeace, oppure che finalmente «ciò che accade in alto mare non sarà più lontano dagli occhi, lontano dalla mente» esulta il Wwf.
A festeggiare anche l’Unione europea che ha messo a disposizione 40 milioni di dollari per facilitare l’attuazione dell’accordo perché come sostiene la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, «l’oceano è vita, va protetto. Ha dato così tanto all’umanità che è tempo di restituire », mentre per il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, c’è grande soddisfazione perché «gli oceani sono lontani da noi, ma dal loro stato di salute dipende la vita del Mediterraneo». L’accordo è anche un sistema per regolare quanto potrà accadere in futuro. Dell’oceano, soprattutto quello profondo, continuiamo a conoscere pochissimo, molto meno perfino rispetto allo spazio: non abbiamo idea di quante risorse ci siano e quanto valgano. Gli scienziati finora hanno registrato circa 230mila specie, ma stimano siano più di due milioni: c’è ancora tantissimo da scoprire e bisogna giocare d’anticipo per tutelarlo.
«Ora la chiave – chiosa Francesca Santoro – sarà quella di limare subito i dettagli dell’intesa e diventare operativi per proteggere il prima possibile l’alto mare: praticamente partiamo da zero e dobbiamo arrivare al 30% in soli sette anni. Il tempo è poco, serve azione». Anche perché salvaguardare il mare significa aiutare noi stessi: spesso lo dimentichiamo, ma è il nostro più grande e trascurato alleato contro il collasso del clima.
Repubblica