Per il momento i nuovi dazi colpiscono la Francia. Ma il prossimo anno potrebbe toccare all’Italia, oltre che all’Austria e forse a Regno Unito, Spagna, Repubblica Ceca e Turchia. La prima rappresaglia Usa contro la web tax partirà nei prossimi giorni, probabilmente già domani, quando Donald Trump, di ritorno dal vertice Nato, firmerà il provvedimento preparato da Robert Lightizer, il rappresentante per il commercio della Casa Bianca. Poi partirà un’altra ondata di tariffe doganali: prelievi fino al 100% su importazioni francesi per un controvalore di 2,4 miliardi di dollari. Tra i prodotti penalizzati ci sono champagne, formaggi, yogurt, articoli di cosmetica, forniture alberghiere. Sul piano strettamente commerciale non è una catastrofe: gli Stati Uniti importano merci dalla Francia per circa 43 miliardi di dollari (cifre su base annua aggiornate a settembre 2019), a fronte di 27,9 miliardi di esportazioni. Ma il segnale politico è allarmante, come hanno subito colto sia le borse europee (chiusure al ribasso) che Wall Street (apertura delle quotazioni in rosso).
L’amministrazione Trump, dunque, passa all’azione, dopo mesi di pressione per evitare la tassazione all’estero dei «big» di Internet, come Google, Facebook, Amazon. Nel luglio scorso il governo di Parigi ha introdotto un’imposta pari al 3% sui ricavi delle società digitali con un fatturato globale pari ad almeno 750 milioni di euro, di cui almeno 25 generati in Francia.
Ieri il Segretario al Commercio Wilbur Ross, in un’intervista con la Cnbc, ha annunciato che gli Stati Uniti imporranno dazi simili anche sugli altri Paesi che dovessero adottare la web tax. Nella lista c’è anche l’Italia. Nella manovra di bilancio, ora in discussione al Parlamento, è previsto un tributo simile a quello francese: 3% sui ricavi delle aziende con fatturato globale di almeno 750 milioni di euro. I criteri sono un po’ diversi, ma la sostanza politica non cambia.
Tempi
La procedura contro Roma sarebbe operativa a partire dal primo gennaio 2020
La legge italiana entrerà direttamente in vigore a partire dal primo gennaio 2020. A quel punto Lightizer metterà in moto la stessa procedura adottata per la Francia. Prima un’indagine conoscitiva, poi la risposta concreta con i dazi anche sul «Made in Italy».
Non basta. L’amministrazione di Washington sta graduando l’applicazione della sentenza dell’Organizzazione mondiale del Commercio sul caso Airbus, del 16 ottobre scorso. Finora sono stati applicati prelievi su merci per circa due miliardi di dollari, a fronte dei 7,5 miliardi autorizzati dal Wto. Il conto per l’Italia si calcola sia pari a circa 450 milioni di dollari. Ma gli americani potranno rimodulare i carichi con discrezionalità, Paese per Paese, a scadenze regolari: la prossima è prevista a febbraio 2020, poi altro aggiornamento ad aprile. Uno strumento di pressione in più per accompagnare i due negoziati in corso: quello commerciale complessivo con la Ue, l’altro in sede Ocse (nel format allargato) proprio sulla web tax. Lo scenario, dunque, è sempre più confuso, pieno di tensioni. Trump resta all’attacco anche con Pechino. Lo stesso Ross fa sapere che «se entro il 15 dicembre non si raggiunge un accordo», gli Stati Uniti imporranno tariffe del 15% su altri 156 miliardi di import cinese.
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