La Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica ha elaborato e approvato le nuove linee guida per l’organizzazione dei Dipartimenti di Prevenzione.
Si tratta di un lavoro redatto alla luce del confronto svoltosi in seno al Collegio degli Operatori della Siti, tenuto conto dei documenti già elaborati dalla Società Italiana di Igiene, del vivace confronto societario sul tema, dei contributi pervenuti dai Soci ed in particolare delle conclusioni del convegno nazionale Siti di Castelbrando del 2011. Gli allegati includono gli obblighi normativi, le proposte di semplificazione delle procedure e i requisiti formativi. Lungi dall’essere un punto di arrivo, il documento intende essere un nuovo volano per i Dipartimenti di Prevenzione ed uno stimolo per l’attività dei Gruppi di lavoro Siti e, in particolare, quelli di “Salute ed Ambiente” e “Igiene degli Alimenti e della nutrizione”
Alla luce del confronto avvenuto in sede di Collegio Operatori, tenuto conto dei documenti già elaborati dalla Società Italiana d’Igiene e Medicina Preventiva, del vivace confronto societario sul tema, dei contributi pervenuti ed in particolare delle conclusioni del convegno nazionale Siti di Castelbrando 2011, si riporta di seguito la proposta di linee guida per i dipartimenti di prevenzione.
Premessa
II Dipartimento di Prevenzione è l’asse portante e il nodo strategico di una più forte e valida collaborazione tra le Strutture, i Servizi e le Unità Operative, interni ed esterni all’Azienda Sanitaria, impegnati nella promozione e nella tutela della salute dei cittadini e, conseguentemente, nello sviluppo sociale ed economico del Paese. Le evidenze scientifiche, riconosciute tali a livello internazionale e fatte proprie dalle principali agenzie sanitarie mondiali, dimostrano con chiarezza le positive incidenze di serie politiche di prevenzione sul futuro della vita di milioni di cittadini ne consegue l’importanza strategica del settore della prevenzione.
Purtroppo tale settore in Italia è tra i più negletti della sanità pubblica: nella maggior parte delle Regioni italiane si continua, con grave miopia, a risparmiare sul Primo Livello Essenziale di Assistenza, quello della Prevenzione a cui non viene garantito neppure il 5% (mediamente il 3,5%) previsto dalla normativa nazionale per la prevenzione, valore peraltro decisamente inferiore rispetto alla media dei Paesi dell’Unione Europea. Da molti anni si assiste ad un rilevante invecchiamento e depauperamento degli addetti ai Servizi e ai Presidi deputati alla prevenzione. Da oltre 10 anni in molte Aziende Unità Sanitarie Locali (Ausi), non si sostituiscono gli operatori che, a vario titolo, hanno lasciato il servizio. Nonostante questo quadro allarmante sono numerose le attività svolte dai Servizi di Prevenzione delle Ausi con risultati importanti come evidenziato dai contributi portati ai Convegni, alle Conferenze nazionali di Sanità Pubblica, ai Congressi nazionali della Siti. Tali attività hanno concorso in modo efficace a far si che il nostro Paese, secondo l’Oms, sia ai primi posti nel Mondo per la qualità dei servizi sanitari erogati alla popolazione, in relazione anche alle risorse economicohnanziarie impegnate.
Tuttavia il grave depauperamento degli organici e la carenza di idonei ricambi generazionali rendono sempre più difficile per i Dipartimenti di Prevenzione delle Ausi garantire le attività essenziali a tutela della salute collettiva con consistenti rischi e danni per la salute pubblica e con difficoltà, in molte Regioni, a garantire gli adempimenti previsti dal primo Lea, l’Assistenza Sanitaria Collettiva in Ambiente di Vita e di Lavoro, ledendo di conseguenza il diritto fondamentale alla tutela della salute dei cittadini. La Società Italiana d’Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica sin dal 2006 con il documento “II futuro dell’Igiene in Italia” ha denunciato tale problema e lo ha riproposto in tutte le mozioni finali dei congressi e delle Conferenze Nazionali Siti che sono seguiti, da ultimo a Venezia al 44° Congresso Nazionale e più recentemente a Castelbrandocinque (26 e 27 maggio 2011), dove ha lanciato un pressante appello alle istituzioni, affinchè prendano in ben più seria considerazione la salute futura dei cittadini, ma anche all’intera comunità, scientifica e professionale, degli operatori della sanità.
I presupposti normativi
II Decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 recante: “Riordino della disciplina in materia sanitaria, integrato e modificato dalle leggi e dai decreti successivi al decreto in particolare il decreto legislativo n. 229 del 1999 identifica nel Dipartimento di Prevenzione ( quale modello di integrazione di tutti i servizi territoriali sanitari e sociali operanti nella prevenzione) la struttura di riferimento del Servizio Sanitario Nazionale che garantisce la tutela della salute collettiva, perseguendo obiettivi di promozione della salute, prevenzione delle malattie e delle disabilita, miglioramento della qualità della vita e conseguentemente l’attuazione del primo Lea, ovvero l’Assistenza Sanitaria Collettiva in Ambiente di Vita e di Lavoro, che comprende tutte le attività di prevenzione rivolte alle collettività ed ai singoli. L’organizzazione integrata di Servizi e delle Unità Operative unità operative omogenee, affini e complementari, ciascuna con obiettivi specifici, ma che concorrono al perseguimento di comuni obiettivi di salute conferisce al dipartimento di prevenzione caratteristiche proprie di un modello organizzativo favorente l’introduzione e l’attuazione di politiche di governo del sistema della prevenzione e della sanità pubblica quale approccio moderno e trasparente di gestione dei servizi sanitari. Anche a tal fine la Siti ritiene che gli ambiti di intervento, le articolazioni organizzative previste nel citato Decreto legislativo rappresentino un modello irrinunciabile a cui i Servizi Sanitari Regionali, pur nell’autonomia organizzativa loro derivante dalle modifiche del titolo V della Costituzione, è importante facciano riferimento per non penalizzare l’efficacia degli interventi in ambito preventivo che, per avere piena e completa efficacia, devono mantenere una coerenza di intenti ed interventi sull’intero territorio nazionale.
In particolare si ritiene fondamentale prevedere almeno le seguenti strutture organizzative specificamente dedicate (Art 7-quater Organizzazione del dipartimento di prevenzione): a) igiene e sanità pubblica; b) igiene degli alimenti e della nutrizione; e) prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro; d) sanità animale; e) igiene della produzione, trasformazione, commercializzazione, conservazione e trasporto degli alimenti di origine animale e loro derivati; f) igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche.
Tali strutture organizzative articolate in Servizi /Unità Operative (in coerenza con la citata normativa), costituiscono componenti essenziali del Dipartimento di Prevenzione e ricomprendono i principali ambiti di intervento della Sanità Pubblica in materia di prevenzione individuati dalla letteratura scientifica internazionale, dai documenti strate gico programmatici della Organizzazione Mondiale della Sanità e della Comunità europea, nonché dalla normativa Uè in tema di sicurezza alimentare, regolamento Reach.
In base alla definizione dei livelli essenziali di assistenza, il Dipartimento di Prevenzione è impegnato a garantire le seguenti funzioni di prevenzione collettiva e (Art.7-ter decreto legislativo n. 229 del 1999): a) profilassi delle malattie infettive e parassitane; b) tutela della collettività dai rischi sanitari degli ambienti di vita anche con riferimento agli effetti sanitari degli inquinanti ambientali; e) tutela della collettività e dei singoli dai rischi infortunistici e sanitari connessi agli ambienti di lavoro; d) sanità pubblica veterinaria, che comprende sorveglianza epidemiologica delle popolazioni animali e profilassi delle malattie infettive e parassitane; farmacovigilanza veterinaria; igiene delle produzioni zootecniche; tutela igienico -sanitaria degli alimenti di origine animale; e) tutela igienico -sanitaria degli alimenti; f)sorveglianza e prevenzione nutrizionale; f-bis) tutela della salute nelle attività sportive.
A fronte della citata normativa e di un numerosa serie di normative regionali si ritiene che a supporto delle citate attività vadano sviluppate l’epidemiologia, indispensabile ad orientare le strategie di prevenzione, e la promozione della salute quale strumento fondamentale per perseguire gli obiettivi di salute in capo al Dipartimento. Ne consegue che tutti gli operatori del Dipartimento di Prevenzione sono chiamati a svolgere la promozione della salute ovviamente a vario titolo secondo conoscenze e ruolo svolto. Sarebbe, infatti, un errore riservare “a struttura specifica” le azioni di Promozione della salute lasciando ai Servizi del Dipartimento di Prevenzione lo svolgimento dei soli atti tecnico-burocratici a soddisfacimento dei Lea. Ciò del resto non esclude che, all’interno dei Dipartimenti di Prevenzione, vi sia un ambito (struttura) di riferimento che ha in sé la conoscenza delle più avanzate metodologie per sviluppare al meglio le azione di Promozione della salute che funga da supporto nella predisposizione, preparazione, sviluppo, attivazione dei vari atti conseguenti ma fianco a fianco dei Servizi del Dipartimento di Prevenzione ed in armonia con le altre componenti del Ssr (Distretti, Dipartimenti di Assistenza primaria ed Ospedali) dunque in una logica di cabina di regia chiara.
Analogamente per quanto riguarda l’Epidemiologia, indispensabile ad orientare e supportare gli interventi di prevenzione sia che si tratti di attività di controllo che promozione della salute, si ritiene che debba divenire sempre di più patrimonio dei diversi servizi e dei relativi operatori. Anche per l’epidemiologia è sicuramente utile avere un ambito (struttura) di riferimento specialistico che, al di là delle elaborazioni dei dati correnti, funga da effettivo supporto dei Servizi del Dipartimento di prevenzione e delle altre componenti dei Servizi Sanitari Aziendali (Distretti, Dipartimenti per l’Assistenza primaria ed Ospedali) e Regionali.
Al fine di conciliare autonomie regionali ed integrazione a livello nazionale sarà utile la condivisione di standard di prestazioni (Lea) e strumenti operativi condivisi (es. per le attività di controllo modalità di irrogazione prescrizioni, sospensioni, sanzioni, comunicazione degli esiti del controllo, ricorsi) . In ogni caso i modelli organizzativi proposti dovranno garantire uniformità e globalità degli interventi assicurando la unirefe renzialità rispetto a prestazioni che richiedono l’intervento di diversi Servizi del Dipartimento di Prevenzione, favorendo l’accesso all’utenza, a tal fine andranno identificate le prestazioni erogabili a livello decentrato distinte da quelle da mantenere centralizzate. In ogni caso andrà garantita l’applicazione uniforme dei sistemi di tutela attraverso la centralizzazione della formazione, delle procedure ed il criterio della job rotation limitando. Le prestazioni distrettualizzate allo stretto necessario in termini di efficienza e di mantenimento del contatto con la popolazione locale. Sarà, inoltre, fondamentale sviluppare una sistematica razionalizzazione nell’uso delle risorse stesse, finalizzata a contenere i costi, recuperare in efficienza, agire con efficacia ed eliminare prestazioni a basso rendimento in termini preventivi avendo quale riferimento l’Evidence Based on Prevention per la selezione delle attività.
Nella razionalizzazione dell’uso delle risorse va evitata la tentazione di “risparmiare” sopprimendo servizi o immaginando fusioni inappropriate o ingiustificati ritorni a modelli organizzativi ormai superati dall’evoluzione delle problematiche in ambito preventivo. Le tante positive esperienze portate avanti in diversi ambiti territoriali non debbono essere mortificate da logiche rganizzative che niente hanno a che vedere con l’efficacia operativa della prevenzione e dei Dipartimenti di Prevenzione in particolare. Vanno, altresì, preferiti in coerenza con la citata normativa, ripresa dai contratti collettivi della sanità, modelli organizzativi che consentano rapporti diretti fra direzioni aziendali e direzione del dipartimento e fra quest’ultima e la direzione dei servizi del dipartimento di prevenzione. Né è proponibile immaginare suddivisioni fra dipartimento medico e veterinario, mentre va contrastato il pericolo ricorrente di vedere sottratti pezzi importanti per il trasferimento delle competenze a altri ministeri diversi dalla sanità (agricoltura sicurezza alimentare, ministero del lavoro igiene e sicurezza in ambienti di lavoro… ) in quanto solo l’appartenenza al mondo della sanità è in grado di garantire che la salute sia posta come valore prioritario, l’attività sia correlata alla ricerca medica e ad interventi di provata efficacia, sia infine assicurato in modo organico il percorso prevenzione- diagnosi – cura – riabilitazione. In altri termini deve prevalere, senza tentennamenti la unicità, la funzionalità organizzativa e operativa, la direzione unitaria e partecipata, la competenza professionale nei quasi 200 Dipartimenti di Prevenzione che sono una grande risorsa un patrimonio nazionale ed un modello importante anche per i rapporti con il Mondo sempre più globalizzato. In ogni caso sarà utile prevedere dotazioni minime di personale (standard minimi di riferimento) e/o standard di impegno economico (costi) per garantire l’espletamento delle attività in capo al Dipartimento di Prevenzione assicurando il superamento dei vincoli normativi che ostano all’acquisizione di personale dotato della necessaria professionalità e riconvertendo, ove possibile, funzioni e personale attraverso la razionalizzazione delle collocazioni territoriali delle strutture e dei servizi erogati.
Livelli essenziali di assistenza (Lea )
La Siti ritiene che un approccio coerente con le evidenze scientifiche ed i dettati degli organismi sanitari internazionali (Oms) debba prevedere, senza ulteriore indugio, l’aggiornamento dei Livelli Essenziali d’Assistenza – Lea (Dpcm 29 novembre 2001) con i nuovi Lea (ridefiniti con il Dpcm 23/ 4/ 2008 in base all’Intesa Stato-Regioni del 5/10/2006 ottobre 2006 “Patto sulla salute”, e alla Legge 296 del 27 dicembre 2006), che, specie per la prevenzione collettiva, prevedono importanti sviluppi, sia per l’ampliamento dell’offerta vaccinale, che per gli interventi di prevenzione delle malattie correlate all’inquinamento ambientale e delle patologie cronico-degenerative. Le prestazioni di assistenza sanitaria che devono essere garantite dai Dipartimenti di Prevenzione nazionale sono quelle riconducibili ai seguenti Livelli Essenziali di Assistenza inerente l’Assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro: A. Sorveglianza, prevenzione e controllo delle malattie infettive e parassitane, inclusi i programmi vaccinali. B. Tutela della salute e della sicurezza degli ambienti aperti e confinati. C. Sorveglianza, prevenzione e tutela della salute e sicurezza nei luoghi di Lavoro. D. Salute animale e igiene urbana veterinaria. E. Sicurezza alimentare – Tutela della salute dei consumatori. F. Sorveglianza e prevenzione delle malattie croniche, inclusi la promozione di stLi di vita sani ed i programmi organizzati di screening. G. Sorveglianza e Prevenzione Nutrizionale. H. Valutazione medico legale degli stati di disabilità e per finalità pubbliche.
La certificazione di qualità dei dipartimenti di prevenzione
Gli obblighi normativi inerenti la gestione dei sistemi di qualità derivanti dall’appartenenza al Servizio Sanitario Nazionale ed alla Pubblica Amministrazione unitamente a norme specifiche di settore (es. Regolamenti Ce in tema di Sicurezza alimentare), impegnano i Dipartimenti di Prevenzione ad una valutazione qualitativa non solo quantitativa delle attività svolte in una prospettiva di accreditamento istituzionale, (allegato A). A tal fine andranno individuati: a) Standard di funzionamento dei Servizi del Dipartimento di Prevenzione (Dp) supportati da indicatori tesi ad misurare i livelli di efficienza (utilizzo ottimale delle risorse) ed efficacia (raggiungimento dei risultati); b) Procedure inerenti lo svolgimento delle attività in capo al Dp; e) Modalità di qualificazione/e mantenimento delle competenze del personale dedicato alle diverse attività; d) Sistema di “accreditamento” dei Servizi del Dipartimento di Prevenzione. Andranno, inoltre, previsti programmi di monitoraggio del grado di soddisfazione degli utenti, indispensabile per la messa a regime di un sistema di qualità per la prevenzione e la sanità pubblica. Premessa indispensabile all’attuazione del Sistema della Qualità, della Certificazione, dell’Accreditamento dei Dipartimenti di Prevenzione. È l’attuazione del Sistema informativo per la prevenzione quale parte integrante del Sistema Informativo Sanitario. La prevenzione basata su prove di efficacia (Ebp) La pratica della prevenzione basata su prove di efficacia ed il lavoro in qualità dovranno diventare parte integrante dell’ordinario lavoro dei quasi 200 Di parlamenti di Prevenzione presenti sul territorio nazionale. Il Servizio Sanitario Nazionale deve dotarsi di una mappa, da aggiornarsi periodicamente, delle buone pratiche nella prevenzione e nella sanità pubblica, specie di quelle realizzate dai 200 Dp, a cura della Conferenza Stato-Regioni. Superato il criterio di interventi legati a progetti settoriali si dovrà entrare in una logica di percorsi legati ad attività istituzionali sistematiche anche attraverso il coinvolgimento delle diverse articolazioni organizzative delle Aziende Sanitarie Locali chiamate a diverso titolo in causa e dove il Dipartimento di Prevenzione viene individuato quale hub di percorsi di prevenzione interni ed esterni all’Azienda Sanitaria. Tutto questo supportato da esempi rilevanti di buone pratiche e di esperienze innovative che diversi Dipartimenti di Prevenzione hanno saputo portare avanti con modalità tecnico scientifiche di buona qualità.
Fra le esperienze più significative nel campo della prevenzione e della sanità pubblica vanno ricordate: a) Ambiente e Salute (Dp Ausi di Brescia, Tarante, Siracusa); b) Prevenzione delle Malattie Cardiocerebrovascolari (Dp Ausi di Este ed altre 6 Aziende Sanitarie della Regione Veneto); e) Superamento dell’obbligo vaccinale (Dp Ausi Regione Veneto); d) Educazione alimentare e lotta alla obesità (DpP Ausi Catania, Bologna, Lodi); e) Prevenzione secondaria dei Tumori (Dp Ausi Pieve di Soligo, Ragusa); f) Assistenza immigrati (Dp Ausi Regione Puglia, e Sicilia), g) Prevenzione e sicurezza negli ospedali (Dp Asl di Milano e Istituto di Igiene dell’Università Federico II di Napoli”).
Il superamento (l’abolizione) delle attività inutili a fini preventivi
Siti ritiene che non sia ulteriormente rinviabile l’abolizione su tutto il territorio nazionale di attività “inutili”, ancora in capo al Dipartimento di Prevenzione. Si tratta di attività di dimostrata inutilità sotto il profilo scientifico; di duplicazioni: altre norme successive mirano a raggiungere più efficacemente o altrettanto efficacemente gli stessi obiettivi; di assenza di coerenza logica, cioè di congruità tra obiettivi perseguiti dalla procedura e metodi per raggiungere tali obiettivi. A tal proposito si ritiene utile fare riferimento all’esito dei lavori della commissione per la semplificazione delle procedure relativamente alle autorizzazioni, certificazioni ed idoneità sanitarie istituito con Dm Salute, 13/10/2004 (allegato B) che individua una lunga serie di attività non più utili che andranno sostituite da altre di provata utilità.
Attività di cui si propone l’eliminazione: Certificazioni – Certificato di sana e robusta costituzione; – Certificato di idoneità fisica per l’assunzione di insegnanti e altro personale di servizio nelle scuole; – Certificato di idoneità fisica al servizio civile; – Certificato per vendita dei generi di monopolio; – Certificato di idoneità fisica per l’assunzione di apprendisti non a rischio; – Certificato per abilitazione alla conduzione di generatori di vapore (caldaie); – Certificato sanitario per l’impiego dei gas tossici; – Certificato per l’esonero dalle lezioni di educazione fisica; – Scheda sanitaria per colonie e centri estivi; – Certificato di vaccinazione per l’ammissione alle scuole pubbliche; – Certificato di idoneità psicofisica per la frequenza di istituti professionali o corsi di formazione professionale – Libretto di idoneità sanitaria per i parrucchieri; – Certificato di idoneità all’esercizio dell’attività di autoriparazione; – Certificato di idoneità a svolgere la mansione di; – Certificato di idoneità alla conduzione di impianti di risalita; – Certificato per maestro di sci; – Certificato di idoneità fisica a fare il giudice onorario e il giudice di pace; – Certificato di idoneità per i lavoratori extra-comunitari dello spettacolo; – Certificato per ottenere sovvenzioni contro cessione del quinto della retribuzione; Obblighi in materia di medicina scolastica – Obbligo della presenza del Medico scolastico; – Obbligo della tenuta di registri di medicina scolastica; – Obbligo della presentazione di certificato medico oltre i cinque giorni di assenza; – Partecipazione delle ASL alla Commissione Comunale “Parrucchieri, barbieri ed estetisti”; – Abolizione dell’obbligo deU’RX torace per silicosi e asbestosi; – Accertamenti medici per i lavoratori a rischio di silicosi e asbestosi. Procedure in ambito veterinario – Isolamento di animali per il controllo dell’infezione rabbica; – Sospensione, in via temporanea e sperimentale, della visita veterinaria prima del carico, con relativa attestazione sanitaria, dei suini domestici, da allevamento e da macello, da trasportare fuori comune. Polizia mortuaria – Trattamenti antiputrefattivi; – Certificazione dello stato delle condizioni igieniche dei carri funebri e dell’autorimessa per i carri funebri; – Certificato di trasporto da Comune a Comune; – Assistenza alle operazioni di esumazione ed estumulazione; – Rilascio dei pareri per la costruzione di edicole funerarie e di sepolcri privati; – Disposizioni in materia di cremazione. Obbligo di verifica della firma del sanitario certificatore; – Delega ai medici di medicina generale della visita e certificato necroscopico; – Certificato di conformità del feretro.
Più in generale si dovrà porre attenzione ad evitare sovrapposizioni ed incongruenze fra le diverse attività svolte, la inutile moltiplicazione degli interventi ricercando il coordinamento e la cooperazione efficacie ed efficiente con i soggetti e gli enti a diverso titolo interessati, assicurando chiarezza e uniferenzialità nei confronti degli utenti in coerenza con i principi della semplificazione con particolare riferimento al rapporto con gli Sportelli Unici per le Attività Produttive (Suap). Multidisciplinarità ed integrazione professionale entro il dipartimento di prevenzione e con gli altri dipartimenti dell’Ausi La presenza di diverse discipline e numerosi profili professionali costituisce una caratteristica peculiare del Dipartimento di Prevenzione fonte ad un tempo di vivace confronto e di grande ricchezza. L’impegno dei Servizi del Dipartimento di Prevenzione, in aggiunta al tradizionale ruolo di controllori, si sta qualificando per una serie complessa ed articolata di interventi, in virtù delle specifiche competenze, nell’ambito dell’assistenza collettiva: la sorveglianza epidemiologica come guida agli interventi di vigilanza, l’informazione all’utenza, l’assistenza alle Imprese, la formazione degli operatori, l’educazione sanitaria della popolazione, l’informazione e la comunicazione del rischio per la salute. Per fare tutto questo c’è bisogno del concorso e dell’integrazione di diverse professionalità e l’attuale Dipartimento di Prevenzione è fra i Dipartimenti del Ssn quello che vanta la maggiore ricchezza di professionalità: medici, biologi, chimici, assistenti sanitari, dietisti, tecnici della prevenzione, tecnologi alimentari, veterinari. Grande dovrà essere l’impegno per favorirne la massima integrazione sulla base di una cultura comune della prevenzione che sappia superare gli steccati fra le diverse discipline e professionalità e dia ai Servizi ed al Dp sempre maggiore autorevolezza dentro e fuori il Ssn, assicurando professionalità, trasparenza ed unireferenzialità richiesta a gran voce da cittadini ed imprese oltre che dalle nome nazionali e comunitarie inerenti le materie di competenza.
L’integrazione professionale rappresenta il punto di forza e la condizione indispensabile che gli operatori della prevenzione devono garantire per perseguire gli obiettivi di salute. È un modo di essere prima ancora che di agire che consente di adeguare le proprie conoscenze e capacità spe cialistiche, quindi settoriali, alla complessità dei problemi intersettoriali da affrontare, non sacrificando ma esaltando la propria specificità in una visione sistemica della realtà. L’integrazione professionale rappresenta “teoricamente” una delle ragioni fondamentali della organizzazione del lavoro in Dipartimenti, la sua finalizzazione alla soddisfazione dei bisogni del cittadino utente ha portato alla introduzione nelle organizzazioni sanitarie della definizione dell’obiettivo del governo clinico. Il Dipartimento di Prevenzione, pur essendo multidisciplinare (Igiene, Epidemiologia, Medicina del Lavoro, Veterinaria…) e multiprofessionale (Assistente Sanitario, Agronomo, Architetto, Biologo, Biotecnologo, Chimico, Dietista, Geometra, Infermiere Ingegnere, Medico, Tecnico della Prevenzione, Veterinario), è stato concepito e deve restare unico, pena il venir meno delle necessarie e strette sinergie garanti dell’innalzamento continuo dei livelli di salute. Sarebbe un errore “disarticolare” il Dipartimento di Prevenzione in un “Dipartimento di Prevenzione Medico” da una parte, e in un “Dipartimento di Prevenzione Veterinario” dall’altra.
Il Dipartimento di Prevenzione deve essere unitario sia per la prevenzione umana sia che veterinaria, pur nel rispetto delle giuste aspettative di autonomia e visibilità dei vari professionisti. Molta attenzione va posta al ruolo sempre più rilevante dei nuovi laureati nelle professioni della prevenzione (assistenti sanitari, dietisti, tecnici della prevenzione). A questi professionisti vengono richieste prestazioni sempre più complesse e sono chiamati a far fronte a nuove maggiori responsabilità. Da qui la necessità che la loro preparazione sia in grado di supportare queste nuove incombenze in relazione alle conoscenze ed alle capacità richieste sul campo.
Dalla vigilanza al controllo
L’attività di vigilanza e controllo ha sempre costituito per i servizi del Dipartimento di Prevenzione una funzione storica ed infungibile a tutela della salute dei cittadini e degli ambienti di vita e di lavoro. In una società moderna ed in continua evoluzione, sociologica e tecnologica, tale funzione necessita di un continuo aggiornamento per rispondere in maniera adeguata alle nuove esigenze. Occorre passare dalla vigilanza preventiva, l’autorizzazione, e repressivo sanzionatoria ex-post ad un concetto di controllo che, come da direttive e regolamenti europei, prevede la verifica delle azioni messe in atto da chi, pubblico o privato, intraprende una qualsiasi attività. Affidare all’impresa l’individuazione dei rischi e la responsabilità della adozione delle misure di prevenzione e di contenimento degli stessi, costituisce una sfida culturale e professionale per imprenditori ed addetti al controllo impegnati in un continuo aggiornamento scientifico e metodologico. Il passaggio da un’attività di vigilanza, sovente intesa come mera applicazione di norme spesso superate e di controlli ex-post recepiti come puri interventi repressivi da chi ne era oggetto passivo, ad una attività di controllo che valorizza il confronto e la ricerca di soluzioni condivise con imprenditori, professionisti e cittadini, chiamati a concorrere alla prevenzione e gestione dei rischi, comporta un cambiamento anche nella strategia dei controlli. Una buona conoscenza della realtà territoriale da parte dei Servizi del Dp costituisce il presupposto indispensabile per programmare interventi di controllo mirati alle attività a maggior rischio. A tal fine una pesatura dei rischi delle singole attività, supportata da idonei sistemi informativi ed informatici, che valuti l’entità della produzione ed i rischi ad essa collegata sia per consumatori che lavoratori, la vetustà degli impianti, la probabilità di eventuali incidenti, la distanza nel tempo degli ultimi controlli, l’incidenza di emergenze alimentari, infortuni o malattie professionali, consentirà di dare la priorità agli interventi ispettivi di controllo per le attività a maggiore rischio. Non è, del resto, secondario ricordare che in un periodo di scarsità di risorse il poter programmare i controlli prioritariamente, anche se non esclusivamente, secondo la pesatura dei rischi permette di ottimizzare gli investimenti nelle attività preventive evitando l’effettuazione di interventi su attività marginali spesso con valenza prevalentemente formale. Da sottolineare, inoltre, la necessità di predisporre piani di vigilanza e controllo per la prevenzione e la sicurezza di Ospedali, Residenze Sanitarie per Anziani ed i Edifici scolastici in grado di assicurare la dovuta attenzione alle utenze sensibili ospitate.
La comunicazione ai cittadini e a tutti gli stake-holders degli obiettivi e dei risultati delle attività di controllo deve, infine, diventare prassi consueta per rispondere al debito informativo dovuto agli utenti anche per favorire il consenso sociale e la crescita culturale sui contenuti e gli obiettivi della prevenzione. La formazione degli operatori del dipartimento di prevenzione E di fondamentale importanza promuovere il rinnovamento culturale degli operatori del Dipartimento di Prevenzione e lo sviluppo di competenze necessarie a far fronte a problematiche di sanità pubblica in continua evoluzione. A tal fine è indispensabile creare un ambiente favorevole alla formazione valutare e premiare i frutti della formazione, incoraggiare apprendimento dall’esperienza di lavoro svolto. Essenziale il contributo della componente accademica della Siti nel dare supporto scientifico e motivazione alle attività dei servizi territoriali.
Negli ultimi anni a fronte di un enorme sforzo di “formazione manageriale” non si è assistito ad un parallelo ed adeguato impegno in “formazione di sanità pubblica”che dalla semplice “Prevenzione delle malattie” è più modernamente impegnata nella “Promozione della salute”. Divenire “Professionisti della salute” implica un profondo cambiamento culturale e richiede una specifica formazione con nuovi programmi didattici e l’abbandono, sin dalla formazione di base, del modello biomedico a favore del modello sociobiologico. Inoltre, parlando di formazione, non è possibile ignorare il movimento evìdence-based che sta segnando profondamente le Scienze mediche in generale e la sanità pubblica in particolare con la finalità di fornire contenuti scientifici alle decisioni che interessano sia i singoli individui che gruppi più o meno numerosi di popolazione. Si sottolinea l’utilità di creare nuovi supporti alla formazione con la graduale sostituzione delle modalità cartacee con quelle elettroniche (Internet) creazione di un unico sito per fornire ad operatori ed assistiti elementi per basare le loro decisioni sulle migliori informazioni disponibiliO. Essenziale al fine di assicurare il livello ottimale di formazione ed aggiornamento degli operatori è il mantenimento ed il potenziamento della collaborazione fattiva, professionale e culturale, fra gli operatori del territorio e docenti universitari, in coerenza con quanto la Società Italiana di Igiene e Medicina Preventiva, ha sostenuto e continua a sostenere. Si ritiene, pertanto, fondamentale che i Dipartimenti di Prevenzione, vengano inseriti negli accordi pluriennali con le Università nella formazione dei laureati e degli specialisti del comparto sanitario attraverso specifici atti (delibere) regionali. Occorre, infine, un nuovo patto Stato-Regioni per il rilancio della prevenzione negli ambienti di vita e di lavoro, con investimenti mirati per un efficace ed indispensabile sviluppo della ricerca scientifica nella prevenzione e nella sanità pubblica, specie per quanto riguarda la ricerca applicata.
L’integrazione e le collaborazioni intersettoriali del dipartimento di prevenzione Gli interventi di Sanità Pubblica partono dai bisogni della popolazione (cittadini), fanno riferimento ad un modello di salute globale che richiede un atteggiamento intersettoriale e multidisciplinare; richiede una pluralità di metodi e conoscenze appropriate, promuove l’empowerment della popolazione e la promozione della salute, si estende al di là dei confini del settore sanitario e/o pubblico per comprendere gli sforzi organizzati di tutta la società è basata sul nesso ricerca, osservazione azione per influenzare e/o modificare le politiche. Ne consegue che gli interventi di Sanità Pubblica richiedono l’integrazione e la collaborazione intersettoriale. L’esigenza di affrontare gli attuali problemi di salute in modo globale (promuovendo l’inserimento del tema salute in tutte le politiche) e integrato (coordinando gli interventi dei molteplici enti e soggetti che fanno prevenzione a vari livelli) richiede il coordinamento e integrazione delle attività di prevenzione, così da recuperare efficienza, efficacia ed equità negli interventi.
Esistono diverse esperienze sul territorio nazionale che dimostrano chiaramente che migliorando la qualità della programmazione sanitaria nazionale, regionale e locale ed investendo in modo mirato e razionale le risorse già previste, si possono realizzare, in tempi brevi, ulteriori reti preventive si può migliorare concretamente ed efficacemente il ruolo e l’attività del Dipartimento di Prevenzione stesso. È il dipartimento di Prevenzione l’asse portante, il nodo strategico, di una più forte e valida collaborazione tra le Strutture, i Servizi e le Unità Operative, Sanitaria, impegnati nella promozione e nella tutela della salute dei cittadini e, conseguentemente, nello sviluppo sociale ed economico del Paese. Piani di prevenzione Se da un lato si deve prendere atto che finalmente, negli ultimi anni, c’è stato uno sviluppo dei Piani e dei Programmi pluriennali nel campo sanitario, socio-sanitario e della prevenzione, dall’altro lato si lamentano carenze nelle scelte prioritarie , nell’effettiva collaborazione tra le Istituzioni e le Società Scientifiche, nella destinazione delle risorse disponibili. Lo stesso progetto ministeriale “Mattoni” col quale si intendeva realizzare un sistema informativo Sanitario del Ssn utile ai diversi livelli di governo: alla programmazione interna (Asl), alla politica sanitaria (Regione) ed al monitoraggio dei Livelli Essenziali di Assistenza effettivamente erogati sul territorio nazionale (Ministero della Salute), nei 15 “mattoni” che lo compongono non preve voci schiettamente preventive tra le linee guida, se si eccettuano “Screening, diagnosi precoce e trattamento multidisciplinare del cancro del colon-retto” e “Cardiologia riabilitativa e prevenzione secondaria delle malattie cardiovascolari”, che però non sono mirate su interventi di prevenzione primaria. Nella bozza del Piano sanitario nazionale 2011-2013 l’ospedale viene menzionato 123 volte, il Distretto e le sue attività 20 volte, e il Dipartimento di Prevenzione nemmeno una volta e persino nel Piano nazionale della prevenzione 2010-12 i Dipartimenti di Prevenzione vengono menzionati una sola volta… e per giunta in chiave negativa! Per contro nei Piani di attuazione regionali del Piano della Prevenzione sono numerosi e diffusi nelle diverse aree della penisola, i progetti che vedono coinvolti i Servizi ed i Dipartimenti di Prevenzione in interventi di prevenzione primaria: dalla prevenzione delle malattie cardiocerebrovascolari, al soprappeso obesità e patologie correlate, dagli incidenti stradali e domestici a quelli sul lavoro in un’ottica di integrazione multidisciplinare ed intersettoriale.(allegati sinossi macroarea 1, 2, 3, 4).
L’impegno a perseguire l’equità sociale in salute
II perseguimento dell’equità rappresenta uno dei principali traguardo negli interventi sanitari e negli interventi di prevenzione in particolare. Le differenze sono ovunque e rappresentano una ricchezza delle nostre collettività ma anche un rischio di gravi disuguaglianze. E queste disuguaglianze sono tutti i giorni sotto i nostri occhi. L’obiettivo è ridurle, pur nel rispetto delle diversità, garantendo un sistema davvero universalistico e più giusto. Un impegno ambizioso al quale i Dipartimenti di prevenzione sono fortemente chiamati e ” a cui non possono sottrarsi. L’Unione Europea, che ha proclamato il 2010 anno europeo per la lotta alla povertà, sottolinea come il livello di diseguaglianza in termini di salute fra I differenti gruppi sociali e i diversi paesi Europei è alto, in termini di attesa di vita arriva sino a 8 anni per le donne e 14 per gli uomini. Le diseguaglianze in salute sono il risultato di un mix che va dall’accessibilità alle cure, a livello culturale, reddito, condizioni di vita, di lavoro e stili di vita fra cui le scelte alimentari hanno un ruolo assolutamente rilevante. In Italia, secondo l’Istat, nel 2010 le famiglie che vivono sotto la soglia di povertà* relativa sono 2 milioni 734 mila pari all’I 1 % delle famiglie residenti con otre 8 milioni di poveri, pari al 13,8% della popolazione, mentre sono oltre 3 milioni (5,2% della popolazione) le persone in assoluta povertà che non riescono a procurarsi beni e servizi essenziali ad uno standard di vita minimamente accettabile. In coerenza con quanto accertato dai sistemi di sorveglianza Passi ed Okkio alla salute (promosso da Istituto Superiore di Sanità, Ministero della Salute e Servizi Sanitari Regionali) l’eccesso ponderale, rilevante fattore di rischio per le principali patologie cronico degenerative, è significativamente più frequente nelle persone con basso livello di istruzione o con difficoltà economiche. Per quanto concerne l’età infantile l’eccesso ponderale è associato a quello dei genitori ed è tanto maggiore quanto più è basso il loro livello di istruzione. Ne consegue che gli interventi dei Dipartimenti di Prevenzione dovranno prestare la giusta attenzione alla popolazione infantile, con il coinvolgimento della famiglia sin dalla gestazione, senza trascurare le altre fasce di età e diversi setting: gruppi di lavoratori (fra cui gli stessi operatori sanitari ), soggetti fragili per patologia, per età (donne in menopausa ed anziani) per condizioni socioeconomiche (carcerati, indigenti) in una logica di rete e di perseguimento dell’equità sociale.
Comunicazione
La comunicazione attraversa tutte le attività dei Dipartimenti, e ne rappresenta una linea portante cruciale ed un impegno irrinunciabile. La necessità di comunicazione molto fortemente sentita nei Dipartimenti, e collegata alla loro tensione all’integrazione culturale, operativa e in larga parte umana e relazionale – è identificata principalmente nei seguenti ambiti:
• comunicazione istituzionale – tra i servizi e con tutte le unità organizzative Asl, con le istituzioni sanitarie territoriali e nazionali, con Università e agenzie formative, con le diverse articolazioni territoriali e funzionali dello Stato, ecc;
• comunicazione interna – per una reale integrazione operativa e interpersonale tra i colleghi, e per un clima organizzativo relazionale e non gerarchico;
• comunicazione esterna – verso i cittadini e le loro aggregazioni sociali, anche per favorire la visibilità e il riconoscimento dei Dipartimenti e dei loro dirigenti e operatori;
• ascolto di – e rendimento di conti a – utenti, portatori d’interesse, associazionismo, territorio, ecc; che permetta sia una programmazione realmente basata sui bisogni e le domande, sia una valutazione basata sul gradimento e sull’efficacia;
• tradizionali attività di prevenzione fondate sulla comunicazione, quali promozione della salute, educazione alla salute, comunicazione del rischio, che costituiscono la più gran parte degli interventi preventivi dei Dipartimenti;
• tutte le altre attività preventive, anche le più tradizionalmente lontane da esigenze comunicative (quali ad esempio vigilanza e controllo), che oggi si trasformano sempre più in imperdibili occasioni di relazione informativa e formativa, educativa e promozionale.
La strategia degli interventi comunicativi va inquadrata in un progetto complessivo di Dipartimento, e va svolta con strumenti che si fondino su (ma non si limitino a) un forte sistema informativo per il consumatore, capace ad esempio di comunicare in modo tempestivo e costante i risultati delle attività di sorveglianza e controllo, e siti web progettati per essere ampiamente fruibili dai cittadini, più e oltre che dagli operatori La metodologia da seguire in tali interventi è quella della comunicazione relazionale non limitata al trasferimento di informazioni ma aperta al feedback con interlocutori singoli e collettivi, che tenga presenti insieme le esigenze della scientificità e della comprensibilità, della completezza e della delicatezza, della trasparenza e della privacy. Per fare tutto ciò, ed anche in relazione a segnalazioni degli operatori circa la scarsa qualità auto-percepita della comunicazione nei Dipartimenti quello della comunicazione sembra il campo nel quale si richiedono gli interventi formativi più approfonditi e più urgenti. I laboratori di sanità pubblica La molteplicità e complessità delle attività in capo ai dei Dipartimenti di Prevenzione delle Asl, rendono indispensabile l’istituzione di laboratori di sanità pubblica in grado di garantire un adeguato supporto analitico alle attività in tutte le aree delle attività di prevenzione individuale e collettiva. Non si può pensare di fare prevenzione specie negli ambienti di vita e di lavoro, così come nei settori della igiene e della sicurezza alimentare, in senso moderno ed efficace, senza adeguati e certificati laboratori di sanità pubblica collegati in rete con i Dipartimenti provinciali delle Agenzie Regionali di Protezione dell’ Ambiente (Arpa), con gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (Izs), con i Laboratori dei Istituti universitari specie quelli di Igiene. Da qui la proposta di laboratori di Sanità Pubblica per le attività di prevenzione dotati della necessaria autonomia tecnico-funzionale ed economica. Tali laboratori dovranno far fronte al continuo incremento della domanda, anche a seguito di specifiche normative non ultime quelle inerenti i controlli in tema di sicurezza alimentare, sostanze miscele, articoli/prodotti per la determinazione del livello di conformità con le disposizioni previste anche ai fini delle gestione delle emergenze.
Il laboratorio di sanità pubblica, che deve tener conto della presenza di tutti gli attori della “rete analitica regionale e non”, ovvero di Arpa, dei laboratori esistenti nelle strutture di diagnosi e cura e dell’Istituto Zooprofilattico, deve garantire:
– il riscontro esaustivo ai bisogni analitici di individuazione e determinazione del rischio; – l’erogazione efficiente, rapida ed agile delle attività analitiche di “base” da parte di ciascun laboratorio, e la creazione di centri di eccellenza “esclusivi” per taluni controlli;
– la gestione dei flussi informativi e la possibilità di condivisione dei dati con i soggetti interessati;
– la condivisione, l’armonizzazione e l’applicazione di uniformi procedure e modalità operative;
– l’ottimizzazione delle risorse strumentali, anche in ragione del Regolamento (Ce) 882/2004 che ha previsto per gli organi del controllo ufficiale il requisito dell’accreditamento.
Infine il riconoscimento da parte dell’Organismo di Riconoscimento dei Laboratori (Orl/Iss) ai sensi del Decreto Legislativo 156/97, o, più recentemente dell’accreditamento da parte dell’organismo Unico di Accreditamento istituito ai sensi del Decreto del Ministro delle attività produttive del 22 dicembre 2009 (Accredia).
Per quanto riguarda le attività svolte dai Laboratori di Sanità Pubblica, almeno 1 per regione, l’attività svolta deve riguardare tutte le attività analitiche a supporto delle funzioni esercitate dai Dipartimenti di Prevenzione così come previste anche dai Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro.
Nota *Linea di povertà : valore di spesa per consumi al di sotto della quale una famiglia viene definita povera : nel 2008 era 992 euro, le famiglie di due persone che hanno una linea di spesa inferiore vengono definite povere.
Da Panorama Sanità – 11 marzo 2012