Il doppio del debito pubblico, quasi tre volte il Pil: questa è la casa per gli italiani. Questa è l’enorme ricchezza che persino i tedeschi ci invidiano. Questo è il tesoro che dovrebbe proteggerci le spalle nei periodi neri, quando tutto crolla: reddito, consumi, posti di lavoro. Certo, un tesoro scarsamente monetizzabile, perché con l’abitazione in cui viviamo non ci si mangia, ma pur sempre rassicurante.
Attenti però, le cose stanno cambiando. Oggi quel tesoro non ci garantisce più come prima, e la ragione è che vale mille miliardi in meno rispetto a cinque anni fa. Un crollo del 20 per cento ha deprezzato le abitazioni delle famiglie italiane dai 5.300 miliardi del 2011 agli attuali 4.300. A questa perdita patrimoniale si arriva combinando le stime della Banca d’Italia sulla ricchezza delle famiglie italiane con quelle dell’Istat sui prezzi delle abitazioni, in continua discesa dopo il picco del 2011. Il 2016 doveva essere l’anno della svolta e non lo è stato: le compravendite si stanno riprendendo dopo una pluriennale paralisi, i prezzi ancora no.
CHI HA PERSO DI PIÙ
Di questa lunga slavina che sembra non avere fine si sono accorte le famiglie che hanno dovuto vendere per cause di forza maggiore, o quelle che sono rimaste alla finestra aspettando e sperando che il valore della propria abitazione risalisse a livelli tali da contenere le perdite. Come era da attendersi, la crisi immobiliare, incrociando la recessione, ha lasciato sul campo morti e feriti. A dircelo è la Banca d’Italia: tra il 2010 e il 2014 (ultima rilevazione) a deprezzarsi di più in percentuale sono state da una parte le abitazioni principali delle famiglie più ricche (meno 23%), dall’altra quelle di disoccupati e inattivi non pensionati (meno 34%). Questi ultimi, proprio per la loro situazione di precarietà, si sono trovati non di rado a dover vendere a prezzi scontati, tanto che nel giro di quattro anni la percentuale di “senza lavoro” proprietari di casa si è ridotta dal 55 al 41%. Di contro è salita la quota di famiglie ricche in possesso di abitazioni. Il risultato è che la proprietà immobiliare si è ancora più concentrata nelle mani di pochi: quasi i due terzi in capo al 20% dei più abbienti.
LO SHOCK FISCALE
Ma cosa ha provocato il parziale sgretolamento dei valori immobiliari? Confedilizia non ha dubbi: accanto allo sgonfiamento della bolla speculativa e oltre agli effetti della crisi economica, c’è la pesante tassazione sugli immobili introdotta a partire proprio dalla fine del 2011, con il quasi-commissariamento del nostro Paese ad opera di Bruxelles e Francoforte. Da allora la stretta fiscale sulla casa ha fatto schizzare il gettito del 150% portandolo a 51 miliardi annui. «E il problema — sostiene l’organizzazione dei proprietari di case — non si è risolto affatto con l’esenzione dell’abitazione principale: le seconde case, una volta tartassate, hanno perso di valore e questa perdita si è rapidamente trasmessa alle prime case, dal momento che il mercato è lo stesso ». Insomma, si pensava di salvare i proprietari dell’unica abitazione di residenza, caricando tutto il peso su chi ha più di un appartamento, e invece la penalizzazione delle prime case, uscita dalla porta, è rientrata dalla finestra sotto forma di deprezzamento. Risultato: non sono solo i ricchi a piangere. E per dimostrare quanto un fisco troppo esoso abbia contribuito a deprimere tutti i valori, Confedilizia cita uno studio di due economisti — Oliviero e Scognamiglio — secondo cui negli anni passati i Comuni senza elezioni incombenti, dove l’Imu è stata portata a livelli maggiori, hanno visto il prezzo degli immobili scendere del 6% in più rispetto ai Comuni alle prese con il voto e quindi con tasse più basse.
L’EFFETTO RICCHEZZA
Economisti come Paolo Savona o sociologi come Luca Ricolfi sono convinti che questo lungo e generalizzato shock immobiliare, dovuto a parer loro almeno per la metà alla stretta fiscale, abbia avuto evidenti effetti sulle stesse decisioni di spesa delle famiglie. È il cosiddetto “effetto ricchezza” in versione negativa: se la mia casa si deprezza mi sentirò meno sicuro, meno garantito, e di conseguenza spenderò di meno. Anche in questo caso ci viene in soccorso la Banca d’Italia. Un non più recente studio, preparato tra gli altri dallo stesso attuale governatore Ignazio Visco, azzarda una stima di quanto una variazione della ricchezza reale delle famiglie può impattare sui loro consumi: tre centesimi e mezzo in più o in meno per ogni cento euro di apprezzamento o deprezzamento immobiliare. Se fosse possibile applicare questa regola alla perdita di valore delle abitazioni subita negli ultimi anni, dovremmo concludere che quei mille miliardi in meno hanno prodotto minori spese per circa 35 miliardi all’anno. Ma come avvertono gli stessi economisti di via Nazionale, quella regola non è universalmente adottabile e quindi va presa con le molle. In questo caso, però, a dar man forte al legame case-consumi interviene una reazione psicologica che potremmo chiamare “effetto manovra di ultima istanza”. Da quando il governo Monti per salvare il Paese dal commissariamento ha supertassato tutte le abitazioni, gli italiani hanno capito che quella è la prima misura adottata nei momenti di assoluta emergenza e che dunque finché l’Italia non avrà superato le sue debolezze economiche e finanziarie, la ricchezza abitativa sarà tutt’altro che al sicuro. Con le conseguenze paralizzanti che questo comporta per le decisioni di spesa.
PIÙ ACCESSO ALL’ACQUISTO
Certo, il calo dei prezzi delle case a lungo andare ha anche i suoi risvolti positivi. E se molte famiglie sono costrette a vendere in perdita le proprie abitazioni, altre evidentemente possono finalmente permettersi di comprarle. Dopo la paralisi o quasi degli anni passati, il gioco delle compravendite è ricominciato. Con la discesa di prezzi e tassi dei mutui e la lieve risalita del reddito disponibile — dice l’ultimo rapporto immobiliare dell’Agenzia delle entrate — gli italiani hanno oggi più possibilità di accedere all’acquisto. Cinque anni fa ci volevano quattro anni di stipendio per comprare un’abitazione media. Oggi ne bastano tre e mezzo. Diverso il discorso per le coppie più giovani: il 60% di loro non può ancora permettersi l’acquisto della casa. Tuttavia il restante 40% di potenziali acquirenti rappresenta un record se pensiamo che appena un anno fa non superavano il 30%. E per la prima volta tutte le regioni italiane presentano condizioni di accessibilità all’acquisto di un’abitazione, comprese Lazio e Liguria dove finora a causa dei prezzi elevati le case erano in media inavvicinabili.
Repubblica – 29 dicembre 2016