Stefano Simonetti. Attualmente per una azienda sanitaria bandire, espletare e portare a termine un concorso pubblico con esito positivo è diventata un’impresa titanica che può trovare ostacoli e imprevisti di ogni genere, a cominciare, naturalmente, da quelli giudiziari, senza peraltro tralasciare il rischio che il concorso vada deserto o che non fornisca nemmeno il numero necessario di vincitori. I termini della questione sono noti da tempo. Nel 2023 sono state adottate molte norme riguardanti il reclutamento, sia come coda dello stato di emergenza sia in relazione al Pnrr. Un complesso di norme affastellate, a volte in modo compulsivo e non sempre lineare. Tutte le disposizioni legislative entrate in vigore lo scorso anno sono però da coordinare in modo approfondito con la normativa specifica della Sanità. Non a caso il Dpr 82/2023 all’art. 1, comma 6, ha escluso espressamente l’applicazione alle aziende sanitarie.
In particolare, dubito fortemente che siano applicabili alla Sanità le norme riguardanti il Portale del reclutamento, l’affidamento alla Ripam, le prove scritte in modalità digitale o da remoto, la possibilità di effettuare una sola prova scritta, la preferenza per “genere”, le norme sulle commissioni di concorso e sui contenuti delle prove. A quest’ultimo proposito, vorrei citare emblematicamente proprio l’art. 34-quater del d.lgs. 165/2001 – novellato da ultimo dall’art. 1-bis della legge 74/2023 – il cui comma 1, lettera d) è del tutto incompatibile con il decreto 220 tuttora vigente Dpr 220/2001, laddove per ciascun concorso si precisano puntualmente i contenuti delle prove. Qualche dubbio maggiore lo riservo per la preferenza di genere e per le prove asincrone per malattia o gravidanza, alla luce dei fondamentali principi sottesi alle due tematiche.
Nel silenzio assordante dei Ministeri competenti e di molte Regioni, non resta che trovare autonomamente la soluzione migliore o, quantomeno, quella apparentemente più percorribile. Se una azienda decide di applicare a stralcio le nuove norme, occorre quanto meno adottare un regolamento aziendale (meglio ancora un provvedimento regionale) che conferisca linearità e sistematicità alle norme nuove in relazione a quelle pregresse, mai abrogate (i Dpr 483/1987 e 220/2001). In ogni caso, il bando costituisce la lex specialis del concorso e dovrebbe essere sufficiente a garantire la legittimità delle scelte effettuate. Provo – con non poche difficoltà – a ipotizzare una soluzione che possa consentire l’espletamento dei concorsi previo coordinamento tra le regole consolidate da anni e la nuova legislazione intervenuta. L’aspetto più rilevante è quello delle norme recenti che non trovano una analoga disciplina nei due decreti specifici. Nel concreto, se esse sono richiamate da norme che si applicano alla Sanità pubblica, sono a loro volta applicabili perché in questo caso ciò che si applica non è il Dpr 487 in sé e per sé considerato – che, in generale, esclude la Sanità – ma la disciplina sostanziale che esso reca, in quanto richiamata da norme applicabili al Servizio sanitario. Ancora più in dettaglio, se il Dpr 220/2001 o il Dpr 483/1997 rinviano al Dpr 487/1994, le norme richiamate si applicano sempre, anche con le recenti modifiche (ad esempio: requisiti generali di partecipazione, contenuti del bando, riserve e preferenze, selezioni dai centri per l’impiego, assunzioni obbligatorie). Se, il caso è disciplinato solo dal Dpr 487 nel testo come attualmente vigente, ma la fattispecie non è richiamata da altre fonti specifiche, la norma non si applica (ad esempio: partecipazione tramite il Portale InPA, adempimenti delle commissioni e dei concorrenti, assunzione in servizio). Inoltre, se la fattispecie è regolata in modo diverso dai tre decreti, si applica la versione delle prime due fonti regolamentari tradizionali che sono le uniche applicabili direttamente alle aziende sanitarie (ad esempio: composizione delle commissioni, contenuti delle prove di esame, categorie di titoli).
Riassumendo, si può fare ancora ricorso (parziale) al 487 perché l’esclusione dettata dall’art. 1, comma 6, si deve intendere in relazione a una applicazione diretta dell’intero corpo normativo del regolamento ma quando il 220 e il 483 richiamano espressamente una specifica norma del 487 dovrebbe trattarsi di un rinvio recettizio, per così dire “dinamico”.
La tagliola sulle graduatorie. Un ulteriore aspetto molto delicato riguarda una disposizione introdotta anch’essa l’estate scorsa: si tratta dell’art. 35, comma 5-ter, del d.lgs. 165/2001, modificato dall’art. 28-ter della legge 112/2023 che impone una tagliola sulle graduatorie considerando idonei i candidati collocati nella graduatoria finale dopo l’ultimo candidato vincitore in numero non superiore al 20 per cento dei posti messi a concorso. La disposizione fa salvi soltanto i concorsi per personale sanitario e socio-sanitario. È evidente che le aziende sanitarie hanno avuto momenti di vero smarrimento pensando ai concorsi per i ruoli amministrativo, tecnico e professionale la cui graduatoria diventava in pratica “usa e getta”. La questione è stata affrontata nelle sedi regionali e, dopo qualche mese di approfondimenti, una soluzione sembra essere stata trovata sulla scorta di quanto afferma la stessa legge nel sesto periodo dell’art. 35-ter, comma 5-ter, laddove si legge che “la disposizione del quarto periodo non si applica alle procedure concorsuali bandite dalle regioni, dalle province, dagli enti locali o da enti o agenzie da questi controllati o partecipati che prevedano un numero di posti messi a concorso non superiore a venti unità”. Ebbene, la Regione Veneto, con la Dgr n. 22 del 16.1.2024 – paragrafo E), ha ritenuto che la “tagliola” del 20% non trova applicazione per le aziende ed enti del S.s.n. in quanto “controllati“ dalle Regioni. Un esempio, tra i tanti possibili, può certamente aiutare a comprendere lo scenario odierno. Sono attualmente ancora aperti vari concorsi tra cui: n. 10 posti di Collaboratore amministrativo professionale (scadenza 18 febbraio), 2 posti di collaboratore tecnico-ingegnere meccanico (scadenza 19 febbraio). I due concorsi, come altre decine in tutta Italia per i ruoli Pta, senza l’interpretazione adottata dalla Regione Veneto sarebbero a rischio perché avrebbero, rispettivamente, 2 e 0,4 idonei per cui, qualora il vincitore non prendesse servizio, nel secondo caso la procedura sarebbe da rifare da capo mentre nel primo ci sarebbero almeno 2 idonei da chiamare eventualmente.
Una Babele sempreverde. Sono mesi che periodicamente affronto la tematica del reclutamento nella Sanità pubblica e il 18 luglio dello scorso anno su questo sito è stato pubblicato un articolo che significativamente era titolato “La babele dei concorsi e le soluzioni “fai-da-te” per supportare la sanità pubblica” . Con il passare dei mesi la situazione non è certo migliorata e, sempre sul sito, il 18 gennaio 2024 segnalavo tre pronunce giurisprudenziali particolarmente significative del caos che esiste in modo diffuso. In disparte dalla applicabilità della legislazione sopravvenuta, accade in continuazione che si genera contenzioso su molteplici aspetti della procedura concorsuale: la scelta dei questionari a risposte sintetiche vs. i quesiti a risposta multipla, i casi di revoca e annullamento del concorso, lo scorrimento delle graduatorie e l’utilizzo di quelle di altre aziende, l’istituto del cosiddetto “soccorso istruttorio”, il principio di autoresponsabilità dei candidati. In quell’articolo di un mese fa, mi ripromettevo di riprendere la disamina della normativa entrata in vigore nel 2023 e di effettuare una lettura critica di alcuni bandi recenti. A quest’ultimo proposito, per comprendere l’entità del fenomeno, basti pensare che sulle otto Gazzette ufficiali del mese di gennaio 2024 (parte seconda, pubblicata ogni martedì e venerdì) sono presenti ben 311 bandi. La più evidente delle considerazioni che scaturiscono dall’esame di questa mole di bandi è che è quasi impossibile trovare due avvisi uguali. I contenuti dei bandi di concorso risultano redatti con una metodologia eterogenea che, a volte, è pura creatività ma, altre volte, lascia molti dubbi riguardo alla legittimità delle indicazioni. Tale inventiva riguarda le norme di riferimento, i requisiti richiesti, l’idoneità fisica, le modalità di presentazione della domanda, le prove di esame, le commissioni esaminatrici, la validità della graduatoria e quant’altro; ed è difficile, se non impossibile, stabilire se chi ha redatto le indicazioni ha agito in modo legittimo perché, per le ragioni sopra ricordate, lo stesso concetto di legittimità è diventato una variabile indipendente, quasi un optional. Spesso le differenziazioni concernono aspetti formali e tutto sommato irrilevanti ma non è raro che i contenuti possano invece essere molto divergenti sul piano sostanziale. I 311 banditi pubblicati nel solo mese di gennaio comportano il reclutamento di migliaia di soggetti che sono evidentemente indispensabili per la continuità assistenziale e la funzionalità dei servizi e sono quasi sempre il risultato di sofferte negoziazioni tra le direzioni aziendali e la Regione che deve autorizzare il Piano del fabbisogno di personale. Con ciò intendo dire che, se un concorso viene finalmente pubblicato, è lecito aspettarsi il suo rapido e positivo esito e qualsiasi ostacolo o difficoltà che ne ritardi o addirittura ne impedisca la conclusione è un vulnus irreparabile alla operatività delle aziende sanitarie. Ma – cambiando punto di osservazione – costituisce anche una grave incertezza esistenziale per migliaia e migliaia di candidati che vedono allontanarsi o vanificare il loro sacrosanto diritto al lavoro, diritto che vorrei ricordare è sancito ed esaltato dalla Costituzione. Poi ci si stupisce che medici, infermieri ma anche tecnici e altro personale si rivolgano al privato, alle famigerate cooperative o vadano direttamente all’estero.
Il Sole 24 Ore