di Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini, Il Corriere della Sera. L’ipotesi di quel lockdown generalizzato che l’ultimo Dpcm dovrebbe scongiurare, adesso è di nuovo sul tavolo. E non solo perché i medici italiani lo invocano da giorni. Nel governo cresce la preoccupazione, si tiene d’occhio la curva epidemiologica e si ragiona sulla necessità di misure ancora più severe, come la chiusura dei ristoranti il sabato e la domenica a pranzo e la sospensione di alcune attività commerciali, che hanno ottenuto deroghe nelle zone rosse. Ma se alcuni ministri come Roberto Speranza e Dario Franceschini spingono per una stretta ulteriore, il premier Giuseppe Conte vuole procedere con cautela. «Non possiamo scardinare il meccanismo scientifico delle zone rosse, arancioni e gialle — è il suo ragionamento nelle riunioni riservate —. Dobbiamo aspettare gli effetti delle misure. Ci siamo dati un metodo scientifico e non possiamo metterlo in discussione sull’onda dell’emotività».
L’obiettivo del governo è arrivare almeno al 15 novembre. Soltanto domenica prossima sarà infatti possibile stabilire l’efficacia del nuovo meccanismo che, per contenere i contagi da Covid-19, divide l’Italia in fasce di rischio e impone le chiusure di attività limitando gli spostamenti dei cittadini. Se fra cinque giorni la curva epidemiologica non avrà invertito la rotta, l’ipotesi più probabile è far entrare tutte le Regioni in «zona rossa». In questo caso sarà indispensabile rivedere la lista dei negozi che possono rimanere aperti durante la giornata. Per farlo sarà necessario un nuovo Dpcm che, se dovesse esserci un’accelerazione politica, potrebbe essere discusso con Regioni e Cts già il prossimo fine settimana.
Il governo riceve ogni giorno report che delineano l’andamento dell’epidemia sulla base del rapporto tra tamponi effettuati e positivi, ma tengono conto anche della situazione degli ospedali e soprattutto delle terapie intensive. Ed è questo l’aspetto che più preoccupa ministri e premier: se pure la corsa del virus rallentasse da qui al 15, la saturazione degli ospedali rischia di arrivare prima dell’inversione di tendenza. Innescando una drammatica carenza di posti letto, che imporrebbe la creazione a tempo di record di nuovi Covid hospital, anche da campo. Il report dell’ultima settimana, confermato dagli analisti dell’intelligence che monitorano ogni situazione di rischio del Paese, individua proprio la metà di novembre come ultima scadenza per l’inizio della decrescita.
Il passaggio
Gli esperti: a metà mese la decrescita, se si verificano gli effetti benefici del Dpcm
Sabato 7 novembre è una data chiave. L’ultimo Dpcm è in vigore da quasi una settimana, le mascherine sono obbligatorie da oltre un mese. Gli esperti avvertono: «La percentuale tra tamponi e positivi segna 17,2 %, in rialzo rispetto al 16,1% di ieri, ma in linea con quanto previsto dalle nostre curve da cui si attende un inizio di crescita più debole (ma sempre crescita) entro il 9 novembre. Dal 15 novembre ci potrebbe essere la vera decrescita laddove si verificassero gli effetti benefici degli ultimi Dpcm». Già il 3 novembre era stato evidenziato che «i nuovi positivi continueranno a crescere fino al 6-8 novembre fino a valori compresi tra 37.000 e 44.100, con un valore mediano di circa 41.000, prima di iniziare una lenta discesa». Ma se questo non dovesse accadere, la situazione potrebbe rivelarsi drammatica. Il suggerimento è netto: «Per poter ottenere un più efficace appiattimento della curva globale dei contagi è assolutamente opportuno implementare nuove misure che possano sovrapporsi ai primi effetti positivi dei recenti provvedimenti».
C’è un altro fattore di cui bisogna tenere conto e su cui gli analisti mettono in guardia: «Il calcolo sulla percentuale è eseguito utilizzando il totale dei tamponi (diagnostici + quelli di conferma). Se però lo calcolassimo utilizzando unicamente i test diagnostici (quelli per cui si ottiene il “primo positivo”) si avrebbe un valore di circa il 20% che rappresenta una soglia particolarmente critica da non sottovalutare assolutamente». Proprio per ricontrollare i dati e i bollettini trasmessi dalla Regione, il ministero della Salute ha inviato i carabinieri del Nas in Campania. Una procedura che si è deciso di adottare in tutti gli altri casi in evidente «criticità». Oggi il presidente De Luca dovrebbe accettare che la sua regione passi in fascia arancione, se non addirittura rossa.