Luciano Fassari, Quotidiano sanità. Risorse, Liste d’attesa, carenza di personale, riforma dei medici di famiglia e via dicendo. A meno di due mesi dal voto ecco i problemi irrisolti che la sanità si porta dietro da tempo e su cui chiunque il 25 settembre conquisterà Palazzo Chigi e Lungotevere Ripa non potrà non confrontarsi. Nella speranza che a roboanti proposte non corrispondano altrettanti fallimenti
Pochi giorni fa abbiamo elencato le principali tematiche che con la fine prematura della legislatura si bloccheranno o rischieranno di restare delle incompiute. Oggi a meno di due mesi dal voto però è utile affrontare anche gli intricati e mai sciolti nodi che la sanità si porta dietro da tempo e su cui chiunque il 25 settembre conquisterà Palazzo Chigi e Lungotevere Ripa non potrà non confrontarsi.
Partiamo in primis da uno dei problemi cronici e più sentiti della sanità italiana: le lunghe liste d’attesa. Con la pandemia, e testimonianza sono anche gli ultimi dati Istat-Agenas, sono milioni gli interventi, le visite e più in generale le prestazioni che sono state sospese. Ma com’è noto il problema delle liste d’attesa è uno di quei malanni cronici del Ssn. In questa legislatura prima l’ex Ministra alla Salute Giulia Grillo con il suo Piano nazionale, poi il suo successore Speranza con lo stanziamento di 1 mld hanno provato a farvi fronte ma senza togliere nulla alla bontà delle iniziative i risultati non sono stati quelli sperati e ancora oggi per molti cittadini gli appuntamenti vengono fissati in date improbabili rispetto all’esigenza di dover subito effettuare una visita, un esame o un intervento. Conseguenza di tutto ciò: chi ha disponibilità economica si rivolge al privato mentre chi non la ha aspetta e spera i ‘biblici’ tempi del pubblico. Un film arcinoto dunque sui cui certamente occorrerà metter mano.
Un altro nodo da sciogliere è quello della carenza di personale. Come abbiamo ampiamente documentato anche su Qs i tagli alla spesa per il personale nell’ultimi decennio hanno depauperato il Ssn della sua principale forza lavoro. In pandemia ci si è messa una toppa, tra nuove assunzioni (soprattutto infermieri) e aumento delle borse di specializzazione per i medici ma è evidente che tutto ciò ancora non è sufficiente e nei prossimi anni senza un cambio di rotta (eliminare o ammorbidire il tetto di spesa per il personale ad esempio?) la situazione, con un personale sempre più anziano e provato dall’emergenza è destinata a peggiorare. Ma per colmare la carenza di personale occorrerà anche investire seriamente nei contratti. Gli aumenti messi in pista negli ultimi anni non sono adeguati.
A questo filo poi si lega la riforma della sanità territoriale. Con il Pnrr e il collegato Dm 77 si è voluto disegnare un nuovo modello di cure primarie basato su Case della Comunità, ospedali di comunità e potenziamento dell’assistenza domiciliare. Ma, a meno di sorprese dell’ultima ora, è mancata la definizione della riforma della medicina generale. Ora chi scrive non è un appassionato di modelli precostituiti (libera professione in convenzionamento, dipendenza o soluzioni ibride) ma ha ben chiaro che il modello così com’è non regge più.
Da un lato i medici di famiglia sono sempre meno, oberati di burocrazia e con la pandemia anche sfiduciati nel loro ruolo e nelle loro prospettive future. Dall’altro però difendere a spada tratta uno schema ormai superato con gli studi aperti a singhiozzo e chiusi nel fine settimana, con pochi servizi annessi e connessi e che troppo spesso lasciano al cittadino (a meno di non avere un medico che condivide e risponde al cellulare) come unica alternativa il Pronto soccorso è fuori dal tempo. Chi governerà dovrà fare una seria riflessione e investire risorse intellettuali ed economiche non solo per creare nuove strutture. Il Dm 77 cerca di connettere tutta quella miriade di servizi presenti ma se non si valorizza il regista e non lo si dota degli strumenti adeguati il rischio per il cittadino è di ritrovarsi spaesato come accade oggi.
In questo quadro un altro tassello da affrontate è l’ospedale. In primis va costruita una concreta sinergia di quest’ultimo con i servizi territoriali. Al di là delle parole oggi l’integrazione è ancora una chimera. E poi andrebbero risolti tutti quegli imbuti che come purtroppo il Covid ci ha palesemente dimostrato hanno l’effetto di intasare i pronto soccorso attivando un perverso meccanismo che blocca i reparti con il risultato di restringere i servizi ai cittadini. E allo stesso tempo andranno meglio tutelate le condizioni di lavoro dei professionisti sempre più stremati e allettati dalle sirene del privato. Sempre sull’ospedale sarebbe anche l’ora di sburocratizzare l’utilizzo dei fondi per il loro ammodernamento: 10 mld ancora non spesi è una cifra esagerata visto lo stato di molti presidi.
Dulcis in fondo le risorse. Come a più riprese ha evidenziato il Ministro Speranza non sono mai stati immessi così tanti soldi per la sanità come negli ultimi anni. I numeri non mentono, ma da un lato le Regioni denunciano come vi sia un ammanco di 4 mld dovuti a spese Covid non ristorate dallo stato (sul punto preoccupano molto i bilanci 2022) e dall’altro il Def evidenzia che la crescita di risorse per la sanità è destinata a terminare con il rischio di far tornare il comparto all’infelice stagione di vacche magre.
In questo quadro sarà certamente un tema quello del rapporto tra Stato e Regioni che in questi vent’anni più di qualche crepa ha mostrato.
Ovviamente i temi e le questioni se si volesse entrare nello specifico sono ancora parecchi, si pensi solo alla gestione del Covid, alla necessaria riforma della governance del farmaco e dei dispositivi medici, all’aggiornamento dei Lea e anche ad una chiara visione sullo sviluppo delle professioni sanitarie che da anni registrano conflitti sulle competenze.
Le sfide per chi governerà la sanità sono dunque numerose. La speranza è di non assistere a film già visti fatti di roboanti proposte per accaparrare voti che poi magicamente evaporano una volta raggiunto lo scopo.
Luciano Fassari