Il Mattino di Padova. Le Usl venete vogliono assumere 104 medici e 752 infermieri. E poi si cercano dottori per contratti libero-professionali pediatrici, di Ostetricia, di Ginecologia, di Pronto soccorso ed emergenza sanitaria territoriale, in grado di colmare i buchi dei singoli ospedali. E, ancora, graduatorie aperte per infermieri e Oss con qualifica conseguita all’estero, per inserirli all’interno di strutture sanitarie impegnate nell’emergenza. Si reclutano poi medici specializzandi al penultimo o all’ultimo anno di corso, medici iscritti all’Ordine e specialisti in pensione. E poi dottori per le Usca, infermieri per le Rsa: non c’è un numero, l’importante è rinfoltire fila sempre più lacunose. Infine, infermieri per le carceri di Padova e sanitari vaccinatori.
La fragilità e la precarietà della sanità veneta stanno tutte in questi numeri. Un macchinario che, in questi quasi due anni al fronte, ha funzionato come un ingranaggio perfetto. Ma non grazie a componenti incastrate al millimetro, bensì grazie all’olio di gomito dei singoli attori, dal senso di abnegazione capace di colmare anche le evidenti carenze strutturali.
“La classe medica italiana è composta per larga parte da professionisti che si sono laureati negli anni ’80 e che, per questo, stanno andando in pensione. Le uscite sono state ritardate dalla legge Fornero, ma adesso si stanno concretizzando. C’è anche da dire che quella italiana è la categoria più anziana in Europa” spiega il veneziano Giovanni Leoni, vicepresidente nazionale dei medici, cercando di contestualizzare il fenomeno. “Azienda Zero continua a pubblicare concorsi, senza riuscire a colmare i posti che mette a bando. Dovremo stipulare delle convenzioni con altre regioni, reclutando colleghi da fuori”.
Le ragioni alla base della carenza sono arcinote. Parlando degli infermieri, l’imbuto è a monte: il numero chiuso all’Università, che non consente di formare un numero di operatori sufficiente alle necessità degli ospedali. Quanto ai dottori, invece, le ragioni vanno ravvisate in turni troppo onerosi a fronte di compensi giudicati inadeguati, soprattutto in certe specialità. “È fondamentale aumentare le indennità di guardia medica. Parliamo di dottori che lavorano di notte e nei giorni festivi, ma prendono poco più della metà dei colleghi che fanno vaccini o operano come Usca” spiega Leoni. “In generale, se vogliamo investire sul futuro di questa professione, serve iniziare ad adeguare gli stipendi dei medici italiani a quelli dei colleghi europei. Parlo soprattutto dei dottori di Pronto soccorso, Medicina interna, Anestesia e rianimazione, i reparti più in crisi di personale. Altrimenti i nostri giovani medici andranno all’estero e da noi fioriranno le cooperative, dove i dottori hanno compensi doppi rispetto a quelli standard, soprattutto in branche come Radiologia, Medicina d’urgenza e Rianimazione” aggiunge Leoni. Prima della stoccata finale sulle indennità Covid: “Saranno elargite senza distinzioni tra chi ha affrontato l’emergenza in prima persona e chi l’ha vissuta solo mediatamente, dagli amministrativi ai medici. Noi avevamo chiesto che venisse data priorità ai sanitari che vivono continuamente bardati, con il materiale di protezione completo, per l’intero turno di servizio”.